Un post su Houellebecq

Houellebecq è un bravissimo romanziere di questi anni, molto attento al mercato e all'industria dei libri, ma che ha il merito di riuscire a vendere parecchio nonostante dica delle idee sul mondo.
Certo, tutta la sua poetica si potrebbe riassumere a questa maniera: l'uomo contemporaneo vive un individualismo di merda, isolante, massificato e proteso alla felicità consumistica - i suoi protagonisti o voci narranti sono tutti così, e il suo stile è ciò che resta dopo i raid del neoliberismo - la soluzione che Houellebecq dà ne Le particelle elementari, se ben ricordo, è una scienza che spenga il desiderio. Mi sembra, francamente, una soluzione molto vicina alle istanze cattoliche (che aborro come la peste).
D'altronde Houellebecq parla di Scienza sempre e solo in una declinazione negativa. E soprattutto negative diventano tutte le innovazioni che essa produce, o che egli le imputa... Insomma, Houellebecq è un reazionario di un tipo di reazione moderna, da scienziato oscurantista (se si può dire, che non è un ossimoro), da obiettore di coscienza, quasi. 

Alla Chiesa è accostabile anche per le sue polemiche colla religione musulmana che pare osteggiare a tutta forza, come editoria comanda, (cioè con la stessa superficialità enunciativa del sistema giornalistico che ha il potere prodigioso di far vendere i giornali e anche i romanzi, specie se si scambiano le idee, e la lingua). 

Ciò detto, mi piace molto leggere i suoi libri, anche quelli che riscuotono l'approvazione del Goncourt, perché Houellebecq è uno di quei pochi artisti (artisti) che si sanno imporre (o hanno imposto) con qualcosa da dire e formulare romanzescamente, in questi anni di piattume letterario. 
Morale della favola del post (non del catechismo) sia questa: non facciamo gli schizzinosi, ché non ce lo possiamo permettere oggi come oggi, ma Houellebecq non è un gigante della montagna come qualcuno, parlando di postmodernismo, crede, anzi... (ovviamente David Foster Wallace avrebbe fatto bene a passargli le spese, tanto le pagine di Houellebecq cancellano le sue, ma quei casi come Dfw sono abbagli della critica, nella buona come nella cattiva fede, e del pubblico superscolarizzato... che ci volete fare? tanto meglio per noi scrittori in erba). 
    

Commenti

  1. mmmbhè, che volessi dire col commento di prima non lo so più... ma forse è meglio così :P riemergo ora dalla lettura delle particelle elementari e 'mbò; cioè: un libro interessante, di certo ha da dire, ma mi sembra sia vacante in qualcosa non saccio di preciso... di sicuro avrei preferito un finale diverso per Bruno: in qualche modo mi pare una figura sovradeterminata e se la conclusione avesse un po' smentito il movimento di fondo "scientifico oscurantista" di cui dici, credo che il libro in totale ne avrebbe guadagnato; anche se ne avrebbe probabilmente perso l'aspetto di diagnosi, di nota... Poi la cosa più artistica continua a sembrarmi il malumore che qua è là trasparire quasi come movente della scrittura prima che l'aspetto di tesi eticapoliticaquantaltro. quest'ultimo invece... forse si potrebbe tentare una cosa un po' banale (perchè del resto già fatta da tutti, non so manco se Girard sia stato il primo) e pensare un discorso ancorato alle immagini del desiderio (ma in primo luogo in somma alla sua accettazione positiva o rigetto in base alla più o meno possibilità di dissociarlo alle caratteristiche distruttive che comunque si porta dietro) come parametro d'una divisione tra avanretroguardia, reazione(?), ecc. ecc.

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    1. Avanretroguardia mi piace.

      Io continuo a preferire Estensione. Particelle (forse tirato via per degli aspetti sulla trama, come pure sottolinei tu) è comunque più romanzesco... Effettivamente Houellebecq tende delle volte, nell'intreccio, a tentare delle strade di sicuro impatto (la morte di Houellebecq personaggio in La carta e il territorio), ma anche a cercare soluzioni abbastanza scontante in altri frangenti, sempre o quasi nei pressi del tragico.

      Per quanto riguarda il malumore, vedi giusto, ma è uno spleen contemporaneo, è ciò che si può scrivere dopo la tempesta della contemporaneità. è uno stile-posizionamento sociale, e nello stesso tempo è uno stile che assume per forza di cose una carica estetica.
      E' una specie di Camus che diventa straniero esclusivamente per dei fattori esterni, sociali, societari, epocali. e ne è quasi schiavo e costretto...

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    2. Buongiorno Dinamo,
      io credo che Houellebecq uomo sia molto vicino all'autoritratto che di sé ha dato ne La Carta e il Territorio. Credo ci sia qualcosa di più di un malumore contemporeaneo, secondo me si tratta di vero e proprio nichilismo e disperazione, di una condizione che vada oltre la percezione del contingente.
      Il gelo che pervade i suoi personaggi non ha nemmeno il conforto illusorio del consumismo, è gelo e basta, in tutto e per tutto simile agli uffici della burocrazia e agli ambienti dei vari quadri e funzionari che descrive tanto bene, questi sì, segno della contemporaneità, ma avrebbe anche potuto trattarsi d'altro. Voglio dire, è il suo sguardo sulle cose che è disperato, non le cose in sé.

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  2. Dinamo, sappiamo che come uomo H. assume spesso posizioni politiche non tanto per la quale. Ma come scrittore non è la Fallaci... Come scrittore ha coraggio, tanto coraggio a spostare l'asticella del narrabile. Certo è un paraculo, adopera una lingua elementare, alla portata del maggior numero dei lettori ( e di editori), che nemmeno Veltroni... Però la critica inferocita al mondo della cosiddetta cultura, delle cosiddette arti e della cosiddetta scienza non è molto lontana da quella che puoi trovare espressa in forma a mio avviso più necessaria (artistica) in Bernhard. Lo stesso il tema della degenerazione dei rapporti umani, a partire dalla famiglia. Ecco, potrebbe essere così: Houellebecq è Bernhard spiegato ai bambini.

    Ps: sul reazionario occhio, che scava scava nella definizione ci rientrano tanti tuoi preferiti, da Joyce a Céline a Gadda a Landolfi a Bernhard medesimo (cattolicissimo come Joyce).

    LM

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  3. @Biancaneve

    Houellebecq mi pare uno scrittore "anaffettivo"... come sia di persona, sì, credo anche io che la somiglianza colla descrizione offerta nella Carta e il territorio venga facile, però c'è sempre da non fidarsi, tanto più che ci sono molte sfumature di ironia in quel quadro.
    Stabilire di dove venga la sua voce narrativa è una ricerca ardua (pensa alle sue vicende biografiche, a quanto sarebbe facile imputare tutto alla lontananza e freddezza dei genitori che lo abbandonarono alle cure della nonna).
    Io penso che Houellebecq abbia quella voce impostata sullo spleen per natura, e per formazione umana e culturale, ma credo anche che dia la colpa del suo nichilismo al progresso. O comunque lo stile che adopera mi sembra perfettamente congeniale ad impersonare una avanretroguardia, come ben dice l'anonimo allegorico.

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  4. @Larry

    Gira e rigira sono reazionarii tutti, lo abbiamo detto tante volte. Gli italiani poi fanno a gara a chi la spara più a destra.
    Però tra Houellebecq e Bernhard non vedo tutta la "simpatia" che ci vedi tu. Ci sono dei punti di convergenza, ti do ragione, ma Bernhard non era un nichilista di quella specie lì. Essendo cattolico, anzi, nichilista non poteva esserlo.
    Comunque, ciò che mi premeva dire è che Houellebecq, che dà ai contenuti una centralità fondamentale, alla fine manda alle stampe una gamma di idee ben reinventate (una reazione contemporanea) ma che sempre all'indietro guardano. Almeno credo.

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  5. Crescita

    Saziati e cammina.
    Lo sai ,
    la maturita' e' un rutto (la maturita' e' tutto (shakelear)
    e tutto e' connesso:
    cuore, ventraia e cervello.

    Attento al battito
    d'ali della Vanessa.
    E' risaputo:
    un uragano a Mindanao
    puo' provocare a Venezia uno starnuto.

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  6. Non ho letto di M. H. solo La carta e il territorio. Pensavo fosse un po' scoppiato, ma il suo livello anche da scoppiato è così alto che mi sa proprio che nella storia della letteratura debut de siecle soltanto lui (e al massimo DFW, per motivi sbagliati) verranno ricordati.
    Considero M. H. necessario e DFW sopravvalutato.
    Non credo che M.H. sia anaffettivo. Credo che in lui giaccia invece un bisogno di amore colossale, quello che lo fa scrivere e che gli da descrivere così bene la disperazione dei tempi.
    Io è questo che invidio ai francesi, che possono avere lo spleen senza essere ridicoli. Gli italiani sono condizionati alla burletta.
    Un popolo che manca del senso del tragico è un popolo destinato a subire, nei secoli dei secoli. Leopardi docet.

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  7. Questa cosa che Bernhard era cattolico sinceramente mi suona strana. Non ha mai detto da nessuna parte di essere cattolico. Forse lo era di nascita, come famiglia, non so. Lui si prende beffe del cattolicesimo definendolo ripugnante e distruttore della gioventù. In lui il nichilismo (un nichilismo gioioso, stranamente) è rigoroso.
    Forse l'equivoco nasce dall'articolo intitolato Un'esistenza cattolica. Basterebbe leggerlo in rete per vedere che Bernhard cattolico non lo era proprio per niente.

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  8. Massimo, penso di averlo letto in Conversazioni, o in un'intervista spicciola. Mi sembra dicesse precisamente che augurava a tutti un'esistenza cattolica. Poi, a rigore, faceva tanti distinguo, si dichiarava religioso in generale, senza appartenere a nessuna chiesa, ma diceva di amare il paradiso, è sepolto nel cimitero principale di Vienna, che penso sia cattolico... Che poi avesse odio per il cattolicesimo bigotto e nazionalsocialista austriaco, dall'infanzia in poi, pure lo scrive in tutta la sua opera. Bernhard era uno scrittore vero, Massimo, lo sai bene, in quanto tale un'artista, con diritto alle contraddizioni, anche perché non è detto che uno scrittore parli di se stesso quando dice IO. In questo senso potrebbe anche essere che il nichilismo sta più nei suoi lettori (quelli che derideva perché andavano alle inferriate delle sue finestre per chiedergli di suicidarsi insieme...) che in lui medesimo, uno che a vederlo nelle foto, conoscendo i suoi tic, le sue città di riferimento, sembra più un tranquillo e felice borghese (nonostante la malattia che davvero annichilirebbe chiunque). Comunque volevo solo dire che dividere gli scrittori tra progressisti e reazionari è pratica abbastanza scivolosa.

    LM

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    1. Larry, Bernhard era un po' "di fuori" per cui è possibile tutto. Non cambia la mia passione per lui.
      Ed è vero che dividere gli scrittori tra progressisti (ma di cosa?) e reazionari (ma di che?) lascia il tempo che trova.
      Anzi, trovo che gli scrittori più idiosincratici siano quelli più "simpatici".

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  9. Massimo, non credo che al gran ballo dei debuttanti del secolo ci sia per DFW posto all'infinito... voglio dire che non ha le carte né i numeri per diventare un classico. per me egli è SUPER-valutato, più che sopravvalutato... tutto quel malloppo di egocentrismo velleitario e giovanilistico e spesso compiacente, che ricasca in blocco dalla parte dell'autore, della sua promozione letteraria... io lo trovo insopportabile, e letterariamente ed esteticamente parlando abbastanza arretrato.
    Bolano rimarrà nel futuro senza dubbio.
    Houellebecq lo spero anche io che verrà letto tra qualche secolo, ma ho i miei dubbi, e sai perché? perché, ed è questo il post che ho scritto, se a livello formale sei così poco creativo, e a idee hai rigenerato (con lampi d'assoluta qualità, non c'è dubbio) il concetto di reazione ed una sorta di spleen contemporaneo depressivo e deprimente, un'avan-retroguardia come ha detto l'amico anonimo allegorico... la vedo dura rimanere nel tempo.

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    1. Ma sì, mi sa che hai ragione, si a su DFW SUPER valutato sia su Houellebecq ... Naturalmente cercare di indovinare che rimarrà nella storia della letteratura XXI sec, è una roba un po' così, tanto per far due chiacchiere ... non credo si possa sapere, ora come ora.

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  10. ps: a me comunque (sarà che sono un tipo da burletta pure io) piacciono più le burlette degli italiani che lo spleen dei francesi che - non ne faccio giammai una questione campanilistica, lo sai bene - non piace nemmeno nei versi di Baudelaire.
    Sarà che le pose letterarie ed artistiche non le sopporto...

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    1. E' totalmente una questione di gusti e come tale non costituisce problema.

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  11. per me il tuo è un problema linguistico, però: tolto Baudelaire, se anzichè lo "spleen" un te dicesse il magone secondo me sarebbe più su tuoi binari; sbaglio? :P

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  12. davvero hai poca simpatia per il "magone"? boh, pure non mi sembra male come termine; cioè: sgraziato, ma apposta adeguato a quel che dovrebbe significare... però magari mi manca qualche pezzo(!)

    boh, non so; cioè: capiscio il tuo discorso, ma proprio il ribadirlo nei secoli mi convince che non si tratti solo di posa o di convenzione; nel senso che dell'umorale per me vi resta, che sia per colpa di cieli bigi, uggia, o della bile nera che risale lo stomaco come diceva mia nonna poco conta... Però non son certo che si equivalga alla tragedia, anzi per certi versi quand'uno c'ha il magone è piuttosto di fronte al quotidiano, almeno come s'usa dirlo da me, non di fronte al tragico annichilente puro... però scansiamo sempre lo scoglio Baudelaire :P (del quale, peraltro, hai letto Amenità del Belgio? è gustoso!)

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  13. @AA

    Lo spleen (chiamiamolo così) è stato per un lotto consistente d'anni un dispositivo di attrazione fortissima. In quel suo stampino linguistico e letterario sono convogliati diversi itinerari psicologici che da informi qual erano, hanno trovato in quella forma una casella, un po' come una pallina della roulette che sceglie la sua casa madre sotto la forza di una calamita, posto sotto la base.

    E' questo uno dei modi che ha il linguaggio di fotterci: che il linguaggio sa calamitare dentro i suoi sistemi le nostre insondabili pulsioni psicologiche. Lo spleen è un sistema troppo serioso per poterlo replicare. Guarda Bernhard, è serio, ma non lo è, è tragico, ma è comico, lo prendi sul serio ma non puoi prenderlo davvero sul serio. Avvolgendoci in quella ragnatela di giri ossessivi di trottola, pur rimanendo soffocati, l'attimo di lucidità che ci resta lo possiamo impiegare solo ridendo. Io lo trovo divertentissimo Bernhard. E si trovava anche lui divertente. perché se fosse totalmente tragico, sarebbe solo uno da legare.

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    1. Lo spleen è una roba dell'ottocento. Adesso si chiama sindrome maniaco-depressiva ed è una brutta bestia. Basare una letteratura su una patologia vuol dire creare delle cose allucinanti.
      Baudelaire e lo spleen vanno contestualizzati, adesso farebbero solo ridere i polli.
      Il tragico deve avere una forma adatta ai tempi.
      Il fatto è che i nostri tempi sono sommamente tragici, ma l'unico che li ha resi nella sua essenza trgicomica, in Italia, è Villaggio, con Fantozzi.
      Quando mi chiedo perché in Italia, ad esempio, non esistano registi come Lars von Trier e Gaspar Noe o scrittori come Houellebecq (da noi ci sono stati i "cannibali" negli anni 90) la risposta che mi viene è sempre una: il popolo italiano è il più conformista che esista.
      Questo è un paese dove se dici che sei ateo in televisione, non lavori più. Questo è un paese dove devi dare retta a tutti. Ci sono delle eccezioni, naturalmente. Carmelo Bene era una di queste. Antonio Rezza, qualche altro, ma sono pochi. E vivono nella quasi ombra.
      L'italiano non deve dispiacere a nessuno, mai. Deve provocare sì, ma mica più di tanto, se no tizio o caio si dispiacciono. Sopratutto la chiesa si dispiace.
      E niente roba triste, mi raccomando, niente roba pessimista, che se no non si vende. A seguito porcate di ogni genere.

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  14. ahaha, ci manchiamo sempre sullo stesso punto (credo)! per te è uno dei modi che il linguaggio ha di fotterci, io continuo a non vedere come una qualsiasi insondabile pulsione psicologica possa altrimenti venir detta(letta?); lasciando a margine spleen e Bernhard(!) una cosa che tipo il mutismo lo riconosciam perchè si parla :P

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  15. Su questo punto non ci troveremo mai, mi sa. E pensare che è roba di pochi centimetri...

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  16. il diavolo è nei dettagli... oltre che il tempo non manca per cambia' idea (pure se a pelle ho paura abbia ragione tu)

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  17. beh, Dinamo, lo sai meglio di me, i "capolavori" veri non mostrano mai un lato tragico che non sia compensato dal ridicolo ... Da Cervantes a Dostoevskij per arrivare a Céline, Gadda, ecc, ecc, ecc,.
    Il tragico da solo non può esistere senza commedia.
    Il problema italico è che l'italiota si vergogna del tragico. Deve per forza essere simpatico. Risultato? La letteratura e il cinema italiani degli ultimi 30 anni sono noiosi e superficiali.
    Su Baudelaire non mi pronuncio, non mi ha mai fatto impazzire.

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  18. @Massimo

    Capisco bene il tuo discorso, sul tragico, ed ho capito che parli di una sorta di conformismo/ruffianeria italiana, e ci siamo, però se ci facciamo due conti, secondo te girano e sono girati nella storia più libri dominati da un senso e sentimento del negativo o il contrario? Secondo me, anche la tragedia, al pari della farsa o della burletta, è inflazionatissima.

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  19. Cioè descrivere la realtà sempre e solo dentro quadri desolanti è diventato quasi un archetipo (psicologico) letterario.

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    1. Sarà perché il dramma tira di più in letteratura... Nel cinema tira di più chi fa ridere ...
      Se si cerca di descrivere la realtà si finisce sempre nel tragi - comico ...
      Però devo dire che mi piace la libertà che hanno ad esempio, i francesi, di non essere per forza educativi ... il noir, laggiù è noir ...

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