Una storia di bambini - Clarissa


Vilhelm Hammershøi
"Doppio ritratto"


Alla giovane Clarissa, già dalle medie, affiancarono uno psicologo, uno comunemente detto strizzacervelli, per misurarle la testa, il diametro base, e tenerle a bada i suoi oleosi rigurgiti (della testa).
“Io dallo psicologo non ci vado! Io dallo psicologo no!”
A dire il vero si opponeva pure la madre che diceva “mia figlia non è matta io dallo psicologo non ce la porto”, ma il padre forte di una maggiore coscienza medico-televisiva non ne voleva sapere di non mandare la figlia da uno specialista, anzi, ce la mandava per il suo bene presente e futuro... e perché non aveva abbastanza soldi sennò bisognava fare una terapia di famiglia.

Costui, lo psicologo, avviene spesso quando si è al principio, non si poteva permettere una segretaria né tantomeno una donna delle pulizie, dava la scopa ai pavimenti da solo in prima persona, teneva lo studiolo in ordine, la cosa brutta fu far vedere ad una cliente tanto giovane (e alla sua madre operaia) che si doveva pulire il locale da solo perché entrarono nella stanza dalla porta lasciata sbadatamente aperta.

Dopo qualche seduta, lo psicologo sempre colla granata in mano alle ore quindici e poi quando serviva, l'uomo di polvere, gli diede da compilare un diario come spesso questa categoria medica prescrive non si sa bene perché né percome.

La bambina faceva le medie.  

Iniziò a descrivere quello che vedeva, cercando di non alterare per quanto più possibile i fatti, le persone, gli umori, gli animali randagi, i compagnucci di scuola.

***

La scuola media.

Dopo qualche tempo qualcuno della scuola media, sicuramente un masculo in crescimento, scoprì che Clarissa aveva un diario e la sputtanò per tutta la classe.

Clarissa non aveva detto niente nemmeno alle amiche confidenziali strette di questo diario che le pesava aggiornare di giorno in giorno, capitava che saltasse l’aggiornamento, non lo compilasse, per ripicca alla storia, rimanesse indietro di giornate e giornate sane, e poi recuperasse mischiando gli accidenti a caso, inventando, omettendo, smaltendo, passando come una saetta dell'inferno da una settimana all'altra, confondendo talora anche gli anni, o le mesate. Il male lo fai a te, stupida. Le diceva la coscienza grillaccia, colla voce flautata della madre. Clarissa era materna.

Lo psicologo era un maniaco dell'ordine delle cose invece.
Come farà a leggere le psichi uno così ortodosso?

La madre di Clarissa capiva che un pericolo stava per accadere. Sua figlia compilava un diario compromettente nei riguardi del corpo docenti e della classe. Mica per qualcosa di brutto scritto lì sopra, ma perché non sarebbe piaciuto a nessuno vedere immortalati i propri figli nelle agende che regalano le banche ai loro affiliati. Perché giustamente la madre già pagava lo psicologo, che si fanno pagare parecchio, mo si rimetteva pure a comprare un diario di alta cancelleria? Non per qualcosa eh ma non c’era...
A nessuno piace che i propri figli finiscano appesi come impiccati sopra la carta straccia delle banche, impiccati sopra l'albero della carta straccia delle banche che cresceva nella testa alticcia di una bambina delle medie.

Il caso scoppia puntualmente quando il masculo dicuisopra ruba il diario per curiosare e lo si mette a leggere davanti a tutti ad alta voce. Ma siccome lui fa ancora molta fatica a leggere bene, commette errori madornali di lettura, e Clarissa non scrive niente di vergognoso, la pantomima si svuota da sé.  
Quando Clarissa frugando la borsa non ritrova il diario e lo sente recitato a sfottò in mezzo all’aula è come una freccia che entra da una porta aperta e stralcia in due tutte le ragnatele della stanza e si pianta al centro delle sue scapole. Passando il cuore. Come un antico samurai giapponese.
Non è successo niente, ad ogni modo, basta metterci una pietra sopra.

***

Una pietra sopra la scrivania dello psicologo ortodosso, una pietra? dove è entrata? dalla finestra? Dalle macchine idropulitrici della strada? l'ha portata la signora Moli nell’ultima seduta? Clarissa colla sua agenda, il padre è del mestiere, il suo ambiente è saturo di pietre, la sua agenda pietrificata?
Pulisce tutto e getta la pietra fuori dalla finestra, come in un lago psicologico, un vuoto, dove non la ritrova più se non tra qualche anno quando una nuova casuale pietra si ridepositerà forse sulla scrivania tornandogli in mente con la velocità del lancio di qualche anno prima.
Le pietre nel vuoto volano come meteoriti.  

Clarissa è dolcissima.
Non direbbe mai “a” di male a nessuno. Parla nel diario soprattutto del suicidio assurdo del fratello che s’era buttato da una finestra. Come una pietra. Come un meteorite.
Lo psicologo mentre asperge con un cenciolano la maniglia in oro placcato della porta del ripostiglio legge per la decima volta del fratello e non può che sedersi lungamente sulla poltrona di cuoio e mordersi la lingua fino al raggiungimento del sangue, lo fa per parificare col suo dolore fisico il dolore psicologico della sua malata paziente.


Legge ancora dal diario di Clarissa: "Si dicono storie di bambini che gli spuntano due brufoletti sulla mano, due puntini rossi come frutti di bosco, li portano a controllare da uno specialista che dice che quei puntini sono il manifesto dei tumori. Ho anch'io dei puntini rossi. Sono malata? E se m'ammalo alle medie quando avrò tempo di innamorarmi io Clarissa?".
Stavolta se non usa uno spillo lungo da sarto e non se lo conficca nel palmo della mano non riesce a parificare i dolori.
Lo spillo ha una illusoria funzione di bilancia.
Lo spillo illusionista salta nel palmo, anche lui ora ha un puntino rosso, sommerso da altra pelle.  

C'è un cafone che passa sotto il suo studio tutti i santi giorni cantando a squarciagola O' sole mio, gli farebbe volentieri il lavaggio del cervello. Anzi, il salasso del cervello, gli farebbe.  
Ma è utile il cafone per riportarlo sui binari della sua vita e non quelli di Clarissa ché i suoi problemi psicologici sono incurabili.

***

L'inflazione diaristica si avvera.
Senza che nessuno gli avesse detto niente, né uno psicologo né una maestra, i ragazzi del serraglio scolastico medio iniziano a tenere un diario per spirito imitativo nei confronti di Clarissa che non vorrebbe affatto scrivere scrivere le fa letteralmente schifo. Pure i più ciuchi, giocando contro la loro scarsa forza di volontà, imprendono a tenere il diario e aggiornarlo, solo per non rimanere indietro collo spirito mimetico che si è impossessato della classe.
Gli alberi della carta straccia della scuola media sono in fioritura.

Le maestre sono contente della grande novità che non passa inosservata mentre i maestri sono per l'aritmetica e la geometria come medicina per curare tutti i mali psichici. Studiare la psiche come una tabellina del nove, una delle tante.
Il mondo come una mappatura matematica della psiche.

La fantasia degli asserragliati s'arrampica veloce sull'albero della carta straccia.
I fratelli suicidi aumentano a dismisura, anche qui il suicidio di fratelli maschi è inflazionatissimo.

Lo psicologo da qualche giorno pulisce il suo localino cantando O' sole mio. Non se ne rende conto ma canta O' sole mio.

Quando se ne rende conto passa di sotto il cafone di O' sole mio. Lo psicologo apre bene gli scuri, lo chiama, gli dice di smetterla ogni giorno di entrargli nelle orecchie di entrargli nel pensiero con quella dannata canzone a doppio taglio, che sei metereopatico? gli dice... ma quello non afferra la battuta, risponde a grugniti, gn gn gn, è muto, capisce lo psicologo, è muto e parla solo quando canta O’ sole mio.
Pare gli voglia dire che non lo deve pensare. Tu non mi devi pensare, pare gli dica, cantando a squarcia gola O’ sole mio. Tu non mi devi pensare. Al sole ci penso io. Allo psicologo sembra stare a sentire le lamentele di Apollo dio del sole.
Torna dentro che vorrebbe sprofondarsi. Sempre che non sia un gabbo di buontempone, ma non sembra affatto. Il cantante è muto. Veramente. E' il dio del sole.

***

Clarissa ha tutto da guadagnarci colla marea di suicidi diaristici che ci sono stati ultimamente.
Si tranquillizza se tutti compilano una cronaca. Fedele o no, che importa.
E' anzi contenta che la scrittura non sia una forma militarizzata della verità. Le permette di non credere a ciò che scrive, al suicidio e alle macchie di frutti di bosco sulle mani.

Lo psicololo legge con una lente attaccata all’occhio delle poesie di un poeta armeno. Sembra destinato a leggere un solo libro nella sua vita. Ma non riesce mai a trovarlo. Vorrebbe un libro che sintetizzi tutto. E il poeta armeno è quello che ci va più vicino, pensa lo psicologo, ingrandendolo colla lente. 
Alterna l'armeno con Clarissa, che sembra scivolare ultimamente in un torpore di fine primavera, la scuola media chiude e il telaio dei colori estivi (l'azzurro il celeste il cielo) si impone sopra gli altri. Anche la sua scrittura, di Clarissa, sembra seguire le antigeometrie degli impressionisti. Si sta rilassando.
Non vede l'ora del lungomare pieno e dei gelati fatti ammano. Sia Clarissa, sia lo psicologo. Sono sulla stessa lunghezza d’onda.

Il muto canta per strada O' sole mio. Con un gelato in bocca.
Il sole splende. 

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