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Visualizzazione dei post da dicembre, 2011

L'anno di dis-Grazia letteraria duemilaundici si (dis)chiude?

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Un immaginario che non mi sconfiffera e convince per niente quello di 1984 di Orwell...  Ormai non si parla più presso le alte corti letterarie, o quasi più non si parla, di TQ e di divin codini al seguito, impegno e ingaggiamenti sociali. L'anno che se ne va li aveva appesi alla maniglia, erano tutti pronti per entrare, chi doveva entrare sarà entrato, secondo me, l'altri mi spiace restano con noi fumisti fuori all'aperto a fumare, il cortile è grande c'è spazio per tutti. A chi non è entrato per la porta principale, ricordo che le porte di servizio e quelle di uscita in emergenza sono le più interessanti, specialmente in letteratura: questo è importante dirlo, sempre però che l'uscita di emergenza non produca troppa retorica; non solo, stando fuori in cortile si può fumare insieme intossicandoci reci-prosamente e magari trovare qualche insolito punto di sintesi, tipo: dove mangia la colazione un vero personaggio principale in una racconteria impegnata? e in un

Victor Cavallo poeta

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Di Victor Cavallo si parla sempre, anche se poco, in fuseau d'attore, ma c'è anche un Cavallo poeta che nessuno lo dice, o da poco lo dice, meriterebbe una stima grandissima, o almeno di essere letto. Gli ascendenti sui suoi versi sono un cocktail traboccante di grande poesia prima di tutto, poesia romantico-decadente, della grande letteratura beat e della grande letteratura underground alla Bukowski primi tempi, alla Fante, alla Miller, alla polifonia di Céline, tutti invenati e invasati come pesciolini rossi dentro il grande acquario della sua carne, un grande acquario dove galleggia il suo cadavere vivo, assieme alle vagonate di suoni catturati in mezzo ad ogni posto... un gran testone e il manicomio di ritmi, spifferi, strade, piazze, fontane, bidoni, petardi, gente d'ogni risma, case di poeri, sangue, spazzatura di televisione, calcio, Roma... che hanno attraversato come scafisti la sua vita... un Gadda, direi, ma un Gadda che è nato davvero a Via Merulana, un Gadda c

Duetti corsari

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Giorgio Manganelli: una miscredenza...

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senza ombra di dubbio: Ser Giorgio Manganelli Interrogato con insistenza sui fatti, pungolato e sollecitato a tutta voce da amici a espormi e raccontare*   senza alcuna misura cautelativa sull'opera di Manganelli, vinto alla fine dalla loro ostinazione benigna, dico che Manganelli da ottimo sfruttatore della lingua italiana era un miscredente, un eretico sempre prono, come un topicchio, a rosicchiare formaggio al potere, all'autorità, al pulpito, facendosene beffe colla lingua. Pur essendo Manganelli un credente (ma senza nessun fanatismo), la sua scrittura è italicamente miscredente, saturnina, sbeffeggiativa, come poche altre in assoluto, perché è vero che a molti italiani il potere piace lapparlo, o gli piace farne parte, o semplicemente gli garba idolatrarlo; ad altri invece piace sfotterlo, il potere, e la nostra lingua bene vi si appresta al canzonatorio. In questo senso la lingua di Manganelli è una capiente fionda per saettare sassi nell'accademia, e spaccare le

Mio zio scopre la fame che mordeva alla pancia i grandi narratori russi

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Mio zio ripeteva che gli avevano messo una multa perché al primo giorno di entrata in vigore della legge sull'obbligo di cascare col casco, di cascarmorto come diceva, lui non aveva il casco, un modello a scodella, avvitato sulla testa. Bello scemo, oggi le fanno le multe! diceva mia zia, se c'è un giorno che ti mettono la multa è oggi! Imbecille! quando vuoi che le fanno dopo oggi? oggi era il tosto! E tu ci sei cascato come un imbecille! Ma mio zio, vecchio comunista di ferro, non protestava tanto per la multa sbattutagli sulla faccia come una torta di panna, protestava che la vigilessa, più piccola d'anagrafia, gli stesse facendo la paternale dall'alto della sua autorità polizioide. "Non si deve permettere! E glielo ho detto: Non si deve permettere di parlarmi così: io potrei essere suo padre..." e via discorrendo. Mio zio allora decise che era ora di ritirarsi, come da tempo sognava, in un avello di biblioteca, a leggere qualcosa che lo potesse mett

Quanti romanzi si devono scrivere per fare bella figura nella società?

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Qui si scherza sempre su tutto i santi ecc, ma questo non è Raimondo Vianello con Sandra Mondaini, è lo scrittore italo-ucraino Giorgio Scerbanenco Dopo qualche post di poca figura sociale (di cui mi scuso, ma che mi servono per "tagliare il vino nell'acqua", cioè ammorbidire e diluirmi), oggi si torna a tomba.  V'è da sapere, in tralice, che io sono lettore scrupoloso, ma compulsivo... ero... che, dovendo scegliere, sceglievo bene. Sceglievo cioè i romanzieri stitici, e schizzignusi... quelli che ogni parola pesa come un blocco di cemento, che c'hanno la prosa poetica, la prosa bella di vario canone, o canone a sé. Quelli che emettono pochi romanzi, ma ogni romanzo è un pugno di caramelle dolcissime... Prima;  or mi sono rotto le palle.  Perché? Perché quegli scrittori lì a poco a poco finiscono, esauriscono. Morono e non ne rinasciono. La letteratura ne à pochi eccelsi, arrivati a scaglioni nel tempo.  Oggi, leggo poco, quindi, ma quel poco che le

Verità processuale

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De Gregori in un suo celebre pezzo Dal momento che il vocabolario e la vita ci stendono su un tappeto rosso la parola verità processuale (ed attenzione al vocabolario e alla vita che tre volte su quattro ci ciu(r)lano nel manico) , viene meno quindi l'avola di tutte le verità: la Regina Verità : la verità secca, cioè, nuda, la verità univoca, che è evidente quindi che non esiste se non come i fantasmi, allora si dà anche che un delitto possa essere perfetto, 'azzo. Il delitto perfetto.  Il delitto perfetto. E' dalla verità processuale che nasce il delitto perfetto. 

Attenzione, parole  in corso

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"Niente di quello che ho detto è vero. Non perché non sia vero ma perché l'ho detto"  (Tommaso Landolfi) Penso che quando si tratta di parole sia più duro, capire il concetto esposto in soppalco; colla pittura penso è più facile, hai davanti più o meno un telo con sopra della vernice...  se guardi bene, lo capisci prima.     

La caduta della casa dei Landolfi

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Dalle ultime pagine de La biere du pecheur , di Tommaso Landolfi: Ultimo forse rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale, io sto da solo in questa casa crollata più che per metà, e che seguita a crollare un poco ogni giorno, in cui il vento si insinua gemendo, sufolando, facendo garrire le pendule tappezzerie. Ormai, pel volger dei tempi, povero in canna, mi scaldo la minestra da me, poi posseggio infaticabilmente nelle sale vuote, più sovente in cucina a causa del freddo; e tutto pur di non lavorare, che sarebbe cosa vergognosa, ma in specie direi pur di non vivere. Questo paese è d'altronde, secondo un astrologo direbbe, il regno di Nettuno. Assai spesso qualche suo figlio, se appena pieghi l'arco della vita, si ritira rubesto ancora dalla professione, dall'impiego, che so io, e si rintana qui per dare sfogo alla sua unica passione: non vivere. Così lo stagno sempre più si allarga e pigramente invade sempre più coscienze. Oggi pioveva forte e insis