Roberto Bolaño ed Enrique Vila-Matas

Giusto per essere sempre al passo coi tempi e non farmi mancare niente, ho letto un romanzo del catalano Enrique Vila-Matas del 2010, forse il suo libro più famoso (forse), Dublinesque. 
Siccome lui e Roberto Bolaño erano amici (se guardate la foto si capisce bene), amici scrittori, e pare che Vila-Matas fosse uno di quei contemporanei che a Bolaño piacevano molto (per altro Vila-Matas è ritenuto il più grande scrittore vivente in lingua spagnola), m'è venuto spontaneo metterli a paragone, non a gara su chi è il più bravo, ma a paragone. 
E' un giochino rapido, niente di più, che parte da un binomio oppositivo gigantesco, quello tra Joyce e Beckett. 
In scala notevolmente ridotta (e il paragone mi viene forse offerto proprio dalla lettura di Dublinesque che è un viaggio da Joyce a Beckett, colla preferenza di Beckett - checché ne dicano i critici, credo che Vila-Matas tenga più a lui che a Joyce), penso che quel grande costruttore di mondi che è Bolaño, di mondi caldi e colorati, mondi di frontiera e dalle molteplici sonorità, un mondo di storie le più disparate, allegre, drammatiche, con uno stile pieno di vita, sia molto vicino (sempre colle debite proporzioni) a una visione joyciana della letteratura e della vita.
Vila-Matas è invece più vicino a Beckett. Vicinissimo a Beckett nella demolizione dei mondi, nella deterioramento e nella detrazione degli universi narrativi e umani.
Vila-Matas, per altro, è un joyciano doc, appassionato delle sue opere, e addirittura uno dei padri fondatori dell'Order of Finnegans.
Bolaño invece dopo aver fondato da giovane con Mario Santiago in Messico l'Infrarealismo mi pare che non abbia più fondato nulla. 

Resta che il mondo del cileno è un'accumulazione di materiali umani, letterari, sociali, biografici, fisici, con milioni di personaggi che si rincorrono e ritrovano da un libro a un altro in un'opera aperta che potrebbe non finire mai d'essere raccontata; quello di Vila-Matas è un mondo in sottrazione che spinge come una retta verso il silenzio infinito, nonostante la sua grande scrittura erudita, con pochi e fantasmatici, eterei, personaggi, e la trama delle loro ossessioni morbose.  




Commenti

  1. volevo risponderti al post sotto, ma mi anticipi di brutto con questo(!). Volevo solo dire che Joyce è uno degli ultimi scrittori buoni (non buoni scrittori) che ci resti come monumento e che è un peccato che la gente ancora non l'abbia capito, non lo apprezzi per questo e invece sia visto come il caso limite dello scrittore-per-scrittore e altre boiate del genere... Però è un commento che vedo un po' in sottotraccia aquesto tuo attuale :P (semmai son curioso di sapere che ne pensi di Finnegans: se pensi che sia una processione lineare dall'Ulisse o se invece trovi che a quel punto - per quanto incompleto - il "giocattolo", il meccanismo si sia già rotto... magari non è una questione così interessante, però)

    RispondiElimina
  2. Sono d'accordo con il discorso sullo scrittore buono, sempre che ho capito bene, cioè "scrittore volto al positivo", un positivo che attraversa tutto il negativo possibile (addirittura tutto il dramma/commedia "quotidiano/a", reso in epopea comica). Sono meno d'accordo sul ragionamento attorno al pubblico. L'Ulisse non è un libro di facile consumo, nonostante sia un libro di fElice consumo. Credo addirittura non sia nemmeno un libro per scrittori, ma un libro per pochissimi scrittori (Joyce credo abbia scritto quel libro per la posterità, e per quanto riguarda i contemporanei per una ventina di artisti che conosceva personalmente - per altro sapeva che i critici si sarebbero scervellati a capirci qualcosa: tu immagina che fatica fanno con Bolano, i critici, che sì è vero si leggono molte buone riflessioni su di questo scrittore, ma nessuna che ti lascia veramente soddisfatto, che colga nel segno appieno... figuriamoci con Joyce: quando c'è gente che crea mondi che non ci sono prima, la critica si butta dalla finestra, oppure si barrica dietro le frasi fatte.... e non ne esce - bisognerebbe che la critica letteraria e gli studi umanistici diventassero scientifici... vabbò).

    Io l'Ulisse lo sto studiando da qualche anno. Lo sto studiando non da critico né da studioso, ma da, passami il termine, da scrittore, e da lettore estetico. Da minatore, direi. Perché c'è tanta di quella roba lì dentro che c'è da impazzire... ma ci vuole occhio, tempo, pazienza, io delle volte rileggo una pagina tre quattro volte, non perché debba capire chissà cosa, quanto perché ci sono tante di quelle immagini lanciate con un'immediatezza che prende tutti i sensi che ho sempre paura di non aver avuto abbastanza immaginazione.
    Anche per leggerlo e basta ci vuole tempo e concentrazione e un'abitudine di lettura forte.

    Per quanto riguarda il Finnegans, non saprei che dirti. Ho letto qualche pagina sì, ma non credo che si possa leggere in traduzione. E' un'opera che mi affascina tanto, però va al di sopra delle mie possibilità, si deve necessariamente avere un'erudizione e una preparazione linguistica (perché va letto in originale... compresi dialetti, idioletti, idiomi stranieri ecc) molto prossime a quella di Joyce.

    RispondiElimina
  3. sì, sullo scrittore buono il punto era quello; ho un po' di difficoltà a concludere dicendo "positivo" o "negativo" che mi sembrerebbe di bocca mia un giudizio tranchant (ma tu dici "volto al positivo" e allora "volto" sì, ci capiamo è perfetto), anche perchè è giacomo stesso che mira, da tua citazione del post sotto, a essere all-inclusive; anche se, però probabile mi sbaglio l'ho letto per ora poco l'ulisse, l'ultima parola del libro (almeno in traduzione italiana quella storica) dovrebbe essere un "sì" che dice già tanto...

    boh, forse sul pubblico, il problema è su quel tuo "fElice" consumo: nel senso che non ho dubbi sulla difficoltà di lettura, tanto più se uno l'affronta con voluta attenzione a ogni immagine eccetera, però sempre in virtù dei propositi estetici che sembrerebbe trasmettere mi sembra che propagandare quest'idea degli happy few nella lettura (che pure esistono) sia un po' tradirlo a fronte della possibilità di leggerlo tutti e ognuno ne prenda quel che vuole, può... però forse sposto un poco il discorso così

    e ti chiedevo del Finnegan's perchè ne ho letto pochissimo, non lo conosco, richiede di sicuro una dose d'erudizione, competenza linguistica eccetera elevatissima (forse d'essere nati dublinesi, anche) ma da quel poco che ho visto mi sembra che il senso possa essere quello di togliere ancora di più qualsiasi mediazione rispetto il reale delle parole di quanto non faccia già l'ulisse (dove c'è ancora una dimensione forte d'immagine... quasi descrittiva al fondo: e la stessa epifania ha a che fare col visivo, la vista, la sospensione ottenuta tramite lo sguardo); e quindi non mi riesce di capire se si tratti di un'operazione da paradiso terrestre o da torre di babele...

    RispondiElimina
  4. ci sono tanti attracchi per l'Ulisse. in Dublinesque (che se non l'hai letto te lo consiglio vivamente) il protagonista (non so se anche l'autore) è innamorato perso del capitolo sei dell'Ulisse, quello del funerale. è anche uno dei miei capitoli preferiti. Riba (il protagonista di Dublinesque) dice che quello è la cosa più triste che lui abbia mai letto (e Riba è un lettore feroce, un ex editore indipendente). questo per dire che i piani di significazione di Ulisse sono molteplici, non possiamo leggerlo solo per immagini ovviamente (nel commento precedente mettevo in luce questa cosa, ma non è la sola), anche se reso con il solito piglio dissacrante nei confronti del linguaggio letterario e quello dei pensieri, non si può non tenere conto che nel cap 6, per dire sempre questo, Joyce sta comunque parlando della morte, di un funerale, di Dignam, un operaio alcolizzato.
    io per es amo molto l'umiltà di Bloom. credo che Joyce in vita somigliasse sputato (anche dopo la gioventù) a Dedalus... mi pare che nell'Ulisse Joyce costruisce un personaggio, Bloom, che li è anche eticamente superiore. a lui come uomo. so' cazzate, lo so, congetture. ma io penso che Joyce invidiasse un po' Bloom.

    sì, il Finnegans dà l'idea di un'opera dove prevalgono senza dubbio i significanti i segni, anche sopra e soprattutto a detrimento delle immagini. anche in Ulisse ci sono dei lampi finneghiani, ma alla fine partoriscono quasi sempre un correlativo sensoriale. Finnegans sembra proprio un canto in una lingua inedita... un ascolto senza partecipazione attiva, di lettura, interpretazione. mareggiate di significanti che si sparpagliano... che non è nemmeno lecito indagare... né aver sentito. è oltre forse ogni sentimento inconscio linguistico. non ci arriverebbe nemmeno il grande fratello di orwell a fare la spia in quella maniera lì...

    RispondiElimina
  5. sul resto... taccio che non lo so... cioè: mi sembra d'essere in linea generale d'accordo con quanto dici; avevo capito il tuo sulle immagini fosse un punto, una chiave di lettura: però, non so come dirlo, più che leggo, più che mi sembra un punto chiave dello "specifico letterario"(!) il trattamento dell'immagine: probabilmente per il fortissimo allaccio sensoriale (per quanto non voglia mica pregiudicare il resto, ma per ora la lettura si fa con lo sguardo... al massimo l'udito; il tatto i ciechi e già questo è un altro mondo, ma...), in più perchè a partire dal barocco, dalla teoria dell'agudeza, al romanticismo, la reverie, ecc. mi sembra il trattamento delle immagini abbia costituito proprio un modo nostro d'essere moderni - più di quanto non riguardi per esempio stilemi narrativi e altro...

    e boh, ecco il finnegan's mi sembrava compiere un po' un vero e proprio slittamento sensoriale... però non so bene cosa voglia dire con questo :P

    Dublinesque mi manca, ma mi attrae da un po', ora sono "impegnato" con Michaux (per diversa vastità di parlanti è un paragone che non sta in cielo nè in terra, ma ho un po' la sensazione che gli ispanofoni siano in questo momento narrativamente più felici della produzione nostrana: anche se d'altra parte grandi romanzieri... qualche novellatore, quello sì)

    RispondiElimina
  6. Dublinesque leggilo, ti piacerà sicuramente.

    Su Finnegans sono d'accordo, è un ulteriore passo in avanti contro le ingiustizie dell'immagine.

    Tornando per un secondo alla natura risolta nel positivo di alcune opere, credo che - spostandoci da Joyce - io amo soprattutto quegli scrittori che, al netto del loro negativismo tematico e contenutistico, infondono nello scrivere una inconfessabile gioia di scrivere e vivere. Vila-Matas, per parlare di lui, ha questo, Bolano ha questo. Nelle frasi si sente, a prescindere da ciò che scrivono, che c'è un brio positivo, le parole sono vive. Non parlo del "mio" Fante. Ma è la stessa cosa per Savinio, del miglior Parise, di Landolfi che se leggessimo le sue parole "senza leggerle" sarebbero un inno alla vita perché c'è tutto il suo corpo dentro. Gadda, meno, ma per un solo banale motivo: Gadda ci crepava sopra le carte, ci faceva entrare troppo cervello, stesure su stesure, un lavorio di cervello senza pari, ma anche per lui si sente in sottofondo la stessa cosa. Il controllo del testo era enorme, ma si avverte ancora il piacere creativo.

    Vabbè questo.

    RispondiElimina
  7. Ovviamente pure a me fa strano che in Italia faccia fatica a farsi strada un terno, un lotto :) di scrittori popolari ma artisti, come in francia c'è Houellebecq, tra gli ispanofoni ce ne sono tantissimi... per non parlare nel mondo inglese e americano.
    Certo noi abbiamo tanti grandi scrittori anche oggi, ma nessuno ha quello stesso impatto sul pubblico e quella facilità di lettura. forse Celati, ma è molto relegato nel puro letterario.


    RispondiElimina
  8. ti rispondo con un colpevolissimo ritardo ma ho trovato il mio primo ingaggio come peripatetico coatto (consegno volantini) e questo mi brucia del tempo...

    diciamo che: la predilezione per un determinato tipo di scrittura(scrittori?), ammesso che facciano determinato tipo l'avevo colta, come coglierò volentieri il consiglio su Vilae-Matas che tra l'altro puntavo da un po' (anche se stavo pensando a una raccolta di racconti, piuttosto che un romanzo... vediamo!)

    invece 'sti giorni complice la posizione in bella vista sullo scaffale della biblioteca mi son dedicato (terminato l'idillio con Michaux) a Houellebecq, che mi sembra di capire sia un altro dei cavalli del blog... Le particelle elementari; mi sta facendo una strana strana sensazione, perchè, tolta l'abissale differenza di caratura tra i due autori, qua e là mi sta dando l'impressione di essere un La solitudine dei numeri primi SE quel libro avesse avuto un senso...

    e mi lascia l'impressione, per tornare ai discorsi tremendamente astratti sulle Italie, le France, le Spagne, che un po' la distanza tra le due opere sia calcolabile anche in base alla genetica letteraria di Francia vs. Italia e che il punto più forte a favore del libro di Holleecc. sia l'odio equanime che riversa su tutti i suoi personaggi:

    che è una cosa carina proprio perchè appena riemergente da Michaux: che in uno dei suoi frammenti scrive di essersi allontanato dalla scrittura nel momento in cui ha cominciato a vergognarsi della misura in cui ogni sua descrizione risultava ingiusta rispetto il suo oggetto; ecco Holleecc. sembra comportarsi al contrario: che trovi giustificazione alla sua scrittura proprio nella misura in cui questa si dimostra capace di essere ingiusta rispetto tutti i propri oggetti...

    RispondiElimina
  9. P.S. solo vagamente correlato: sai più di me se la La Dimora (rebstein) abbia chiuso definitivamente i battenti? son due mesi...

    RispondiElimina
  10. Carissimo,
    di che ti scusi? i blog hanno tempistiche lunghe, possiamo permetterci di spondere e rispondere quando se ne ha tempo. Tanto più che pure io ho avuto la mia stagione da volantinattore. Per un giornale di partito locale, spondeo ulivo.

    Vila-Matas: io coi racconti mi sono trovato maluccio, Suicidi esemplari non mi è affatto piaciuto. E' un romanziere. Dublinesque. Leggi quello.

    Houellebecq: non puoi paragonare michelino con la solitudine dei numeri primi, però non è un cavallo di questo blog. di cavalli ce n'è uno, Victor.

    Dimora: penso e spero che tra poco riprenderà le pubblicazioni. del buon marottone sento delle volte qui e là il sottile rumore della sua prosa psichedelica che bombarda e illumina alcuni territori blogghiani, tra cui questo. e mi faccio due risate assieme ai compagni eteronimi.

    un saluto

    RispondiElimina
  11. uh, nulla di così nobile: per un comproro, magari è una riciclabile buona metafora dei tempi!

    Vila-Matas: ricevuto ma aspetterà un po', tranne la parentesi per Holle non sono in umore da romanzi

    Houellebecq: no, no, non paragonavo veramente: però per tutto il libro si ha l'impressione che la sottesa struttura metafisica per citare Holle, se l'altro non fosse un cane (senza particolare offesa) secondo me si tangerebbe in più di un punto, anche se in realtà non ho mai finito il libro...

    Dimora: ok, speravo avessi info più dirette delle mie, richieste di collaborazione, altro; appena riprenderà le pubblicazioni ne sarò felice!

    alla prossima

    RispondiElimina
  12. Non ho capito bene cosa mi dicimai di Houellebecq... però ti ringrazio di avermi adescato su questo argomento. mi ha fatto ripescare e limare un post che era rimasto in coda, mai pubblicato, su Houellebecq.
    se vuoi possiamo parlarne quando vuoi anche lì.
    discussione aperta a tutti, naturalmente

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari del mese

Le ragazze con il grilletto facile

Una risposta al signor M. che ci scrive da lontano per parlare di immagini elettorali, o forse con intenti morali assoluti

Quanti romanzi si devono scrivere per fare bella figura nella società?