Il napoletano

Il Napoletano è l'unica lingua che c'è in Italia a saper portare il comico e il tragico colla stessa immediatezza e la stessa forza espressiva. E' una lingua teatrale propriamente detta. 
L'italiano (quello grosso e quello piccolo) sono una fetenzia a confronto, è lingua da scartoffie ministeriali, da appiattimento manzoniano e televisivo: è una lingua per le foglie morte.


Gianni Celati, con un po' di provocazione (ma manco tanto) qualche anno fa, disse che fu un errore fare Roma capitale, dove non c'era niente, che molto meglio sarebbe stato fare Napoli capitale dell'Italia. 
Chissà forse avremmo avuto uno Stato (mi scuso per la parola) più bello e creativo.  

Commenti

  1. Hai ragione, è una lingua che veicola il tragico ed il comico insieme.

    La mia preferita però rimane il siciliano!
    Il siciliano la trovo... (adesso ti faccio fare una risata!), virile! :-)

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  2. ovviamente tutte le lingue vive comunicano come si deve, ma forse quella napoletana è più fisica, mimica, ha più teatralità di suo, nasce teatro. Eduardo diceva che era per via delle copiose dominazioni subite e l'esigenza di esprimersi, comunicare coll'autorità straniera. penso sia una spiegazione parziale, perché tutta l'Italia è sempre stata dominata e asservita alle potenze di fuori. sicuramente, gli idiomi italiani hanno preso molto da questo perenne condizionamento, infatti l'italiano è una lingua di artificioso sberleffo, di canzonatura dell'autorità, del potere, più che di reazione diretta, immediata, dura all'essere soggiogati. forse perché l'italiano è una lingua che nasce letteraria, nasce da padri della letteratura, e vive soprattutto nelle armoniose corti.
    il siciliano piace tantissimo anche a me, per motivi diversi, ma piace tanto anche a me.

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  3. Chissà perché sempre dialetti del Sud ... Io amo il milanese, ecco. E come tutti i milanesi, provo fastidio nei confronti del romanesco (senza offesa per Biancaneve), anche se vado spesso a Roma (ce abbita mio fratello), la amo e sono consapevole che è il più adatto a esprimere un vaffanculo ostentato a tutto l'universo.
    Il milanese invece, è più raccolto, intimo, anche se un bel va' a da' via el coeuu ... fa il suo effetto.
    Sembra meno virile del siciliano, secondo me solo per motivi cinematografici.
    Vabbé, viva l'Italia una e trina.

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    1. Tranquillo, io sono romana solo d'adozione; nelle vene ho sangue toscano (da parte di mamma) e a volte me ne esco con certe espressioni grossetane (mamma è nata a Orbetello) che ci capiamo solo io e lei. ;-)
      E poi, come mi dice sempre la mi' mamma, il toscano è la madrelingua (è che ogni tanto la riprendo, quando pronuncia qualche parola con accento troppo spiccatamente toscano e lei mi risponde:"ma sta un po' zitta, che ne sai te, che io sono toscana e il toscano ecc.ecc.). ;-)

      Il milanese non mi piace, così come il veneto (non lo dico per ripicca eh, non mi piace proprio, ma forse perché l'associo ai milanesi antipatici dei film dei Vanzina; devo conoscere un milanese che mi faccia cambiare idea).

      Un altro dialetto che amo invece è il bolognese.

      P.S.: avevo eliminato il commento sopra perché avevo scritto "un'altro" con l'apostrofo e nun se poteva vedé. ;-)
      (mi perdono qualsiasi refuso, ma l'apostrofo dopo l'articolo indeterminativo e prima del sostantivo maschile che comincia per vocale proprio no!)

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  4. Massimo, sarà che io conosco sempre gente atipica, i miei conoscenti milanesi cambierebbero Milano con Roma cento volte... e anche il romanesco. mbò?
    nemmeno a me piace il romanesco devo dire, e al meneghino preferisco il veneziano (vabbè io ho un debole per le donne venete che se parlano mi mandano all'ospedale, o in galera fate voi) però mi rendo conto che sono veneziano e napoletano lingue molto raffinate dall'uso teatrale ecc.
    mi fa piacere se parli il dialetto, e se ti piace, per me il dialetto mio (che è un abruzzese costiero mischiato al piceno marchigiano) è la mia prima lingua... poi per firmare gli autografi ho dovuto imparare sto italiano becero (becero mi sa che è una parola che non si può usare).

    vabbè, divaghiamo, credo però che il napoletano è una lingua magica, perché l'ho detto sopra.

    l'Italia disunita è na strunzat, come la vita.

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    1. L'Italia è bella perché ogni regione presenta tante differenze rispetto alle altre e queste differenze andrebbero tutte valorizzate ed accolte, non rifiutate in nome di chissà quale "normalizzazione". Ci si potrebbe fare qualsiasi analogia con questo concetto, tipo quella dell'antipecismo, la multiculturalità ecc.

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  5. Io sono di padre calabrese e di madre veneta ... ho in me la più grossa concentrazione di terronità o di terronismo che dir si voglia ... mi piace parlare il milanese, come pure il romanesco, anche se in certi momenti mi irrita ... come pure il napoletano, il bolognese, il toscano ... cioè, non è che li so parlare, ma mi affascinano tutti quanti.
    Io a Roma si può dire che sto di casa ... e debbo dire che l'ho vista cambiare molto, doppo er giubbileo der dumila ... prima se poteva ggirà, pure se er traffico è sempre 'na camboggia ... ma mo' è mejo anna' a vivere a Sutri ...
    Il napoletano è magico, sì, è vero.
    C'è una certa meridionalizzazione della cultura che (sia detto lontano da qualsivoglia fremito leghista) un po' spiace. Sarà per colpa del Nord stesso che ha preferito europeizzarsi (fino a un certo punto) piutosto che curare le proprie radici. Sta di fatto che quando all'estero si parla dell'Ialia si pensa a Milano per gli affari, ma a Napoli o Roma per l'identità italiana ...
    Niente di male, per carità. Milano, poi come milanesità non esiste più. La Milano di Buzzati o di Scerbanenco è diventata fondamentalmente una Reggio Calabria o una Taranto più grande ...
    E' la storia, e va bene così.

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    1. Carina Sutri. :-)

      Io a Roma ci vivo da sette anni e anno dopo anno l'ho vista cambiare, in peggio. Sempre più sporca ed invivibile, e non solo per via del traffico, ma per la "boraggine" di certi romani.
      Di Milano si è parlato appunto nell'altro mio post, non la conosco bene.
      All'estero comunque piace molto la Toscana, specialmente gli Americani e gli Inglesi ne vanno pazzi, poi Roma per l'arte, Milano più per gli affari, come dici tu.

      Comunque, a proposito di dialetto, confesso di avere un piccolo "dono": mi basta stare cinque minuti con un napoletano per parlare napoletano, con un calabrese per parlare il calabrase, con un fiorentino per parlare il fiorentino e via dicendo. E' più forte di me, mi viene naturale, spontaneo. Mi sa che a volte qualcuno si è pure offeso, pensando che stessi prendendolo in giro.

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  6. Il problema, serio, è che i dialetti paiono non contenere il progresso, quantomeno tendono a limitarlo. Stalin stesso si fece linguista per giustificare la strage di lingue minori e dialetti (oltre, va da sé, che di uomini...). Sono d'accordo con Massimo che il dialetto milanese non ha nulla da invidiare a nessun altro. In ogni caso, ogni dialetto è bello a' mamma soja.

    Dinamo non dimenticare il veneziano, che è l'altra lingua teatrale, oltre al napoletano. Il napoletano, secondo me, è anche una grande riserva di gestualità, non meno importante (almeno per il teatro).

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    1. "però mi rendo conto che sono veneziano e napoletano lingue molto raffinate dall'uso teatrale ecc"

      l'ho detto sopra

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  7. Massimo, non credo che la cultura sia meridionale. Anzi. L'imprese culturali editoriali cinematografiche stanno praticamente tutte a nord (meno Roma). dove sta la finanza italiana e l'industria pe(n)sante. Pasolini diceva che il nuovo italiano dagli anni sessante era il tecnocratico milanese televisivo, che soppiantava l'italiano letterario.
    comunque, non voglio nemmeno io passare per meridionalista e ho capito che tu intendi dire che la cultura del sub ha più visibilità di quella del nord, ma questo deriva anche forse da una maggiore produzione di creatività al sud, io non so ma Napoli sembra sfornare grandi attori come niente fosse... e poi forse concorrono anche altri concause che noi che non siamo addent(r)ati non capiamo.
    sull'europeizzazione del nord, non lo so, è possibile, ma a livello di mentalità io conosco meglio la tua Milano e devo dire di essermi spesso scontrato con una mentalità dominante che mi ha ricordato l'Austria di Bernhard(e alcuni forti e radicati movimenti politici lo testimoniano). ho conosciuto poi ovviamente milanesi che con l'Austria di Bernhard non hanno nulla a che spartire . questo per dire che al nord, come in tutt'Italia centro e sud, e forse in gran parte del mondo, a prevalere sono più le tendenze autocratiche e puritane che quelle europeiste, o liberali... il che non è affatto bello.
    purtroppo voler rimettere al centro le culture particolari (sempre osteggiate da tutti i regimi) porta paradossalmente un rinfocolare di tentazioni di fanatismo destroide poco costruttivo, o costruttivo per chi vuole escludere... non saprei.

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  8. Io - napoletano di nascita, d'aria (inquinata, vivo alla periferia del centro) e lingua (parlata) - che, per con-segnarmi al dettato della prof int(r)ollerante e p(a)urista dell'idioma conven(na)zionale , prima del tema in classe d'it. depuro il mio stile leggendo i romanzi di Carofiglio, ora, mentre scrivo, all'intrasatta ho pensato che ciò che sto pensando non (mi) è possibile scriverlo (in napoletano).
    Dunque, mi (l)imito a farvi una linguaccia (morta).

    ilMatt., :P


    http://www.youtube.com/watch?v=gGY4NRZGIyg

    http://www.youtube.com/watch?v=nedQYdj5Pts

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    1. Mattolino, il post ti è dedicato inter amante

      veramente,

      scusa il re fuso sopra

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    2. *e.c.: sfarvi (o: a dis-farmi di una ...)

      lMttln

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    3. Novaramente faje? ;)

      Grazie Din.

      lMttln

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    4. Figur(in)ati, Matt... prego


      Din amo, perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del mulo

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    5. Statt'accuort, Din. Una mia amica per un pene d'amore principiò a pisciare truvolo per la bocca.

      ilMatt., linguacciuto

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    6. cazzo Matt doveva essere proprio un amore grande!

      D(r)in, amante di amori piccoli,
      che manco ti accorgi.

      io dedico il mattolini ad ogni donna pen Sa(t)ta come amore...

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  9. Matt, lo sai che sono un bravo can tante? Mi volevano (ri)accompagnare allo zecchino d'oro... mi sono rifutato, subitaneo. la prima volta, ero di un lustro appena, coi calzoni alla zuava, alto come craxi. scappai...

    io dedico questo zecchino ad ogni gonna pen sata con amore...

    D(r)in D(r)in, amante di amori e suoni piccoli,
    che se sei sordopatico, è difficile che li senti.
    gidio? simo noi gidio... simo noi...

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  10. Si tratta insomma - sotto nuove vesti - della vexata quaestio: Sciaboletta o Franceschiello?

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    1. No Giorgio, no. Io sono europeista, figurati se reggo il filo della commedia separatista ai leghisti, o agli imburratori della secessione. No, no, è semplicemente un'annotazione che faccio sulla teatralità della lingua napoletana che si presta a modularsi su più voci melodrammatiche.

      sarebbe bello fare la discussione sulle culture particolari (e i dialetti) in rapporto alle forze di potere, alle tendenze politiche che una ricentralizzazione del folklore, dell'idioma e delle tradizioni locali, "il local", porterebbe: diciamo che alla lunga porterebbe al conservatorismo e ad una difesa di purezza originale (secondo me, ma non è detto... ).
      Questo spunto di discussione, seppur attizzato, non è stato raccolto... secondo me è interessante...

      ti do, ad ogni modo, il benvenuto.
      ciao

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    2. Beh, penso innanzitutto alla risciacquatura in Arno e al fatto che la medesima, come ci hanno insegnato a "squola", aveva motivazioni politiche, che non ho mai capito se immediate o mediate: se cioè servisse principalmente a veicolare il più possibile un libro che ne aveva sì, di contenuti politici (benché il parallelo tra il passato spagnolo ed il presente austriaco, a ben guardare non sia poi così evidente; né credo che i censori asburgici fossero così tonti); o se effettivamente ci fosse il proposito, gigantesco (benché tu lo definisca di "appiattimento"), di fondare una lingua comune in un paese profondamente diviso allora, come peraltro lo è oggi.
      Sia come sia, è triste che il testimone della trasmissione della purezza di codesta lingua sia stato poscia affidato al servizio militare e quindi alla tivvù (mi sembra peraltro che tu, proprio sulla tivvì, abbia scritto qualcosa oggi).
      Benché spesso mi trovi a dire che la letteratura italiana non ha prodotto più nulla di decente dai tempi del Cantico delle Creature, questo non è ovviamente vero; e la ricchezza dell'italiano post-manzoniano ha permesso - senza voler nulla togliere ai dialetti (hai ricordato il grande Eduardo) - di creare capolavori di respiro europeo e mondiale. Insomma, penso al fatto che ancora nella seconda metà del '700, anzi quasi alla fine del secolo, un signore a nome Giacomo Casanova era costretto a scrivere la Storia della mia vita in francese, per farsi capire un po' da tutti.
      Infine, un breve appunto che non vuole essere politico e che non vorrei tale diventasse: l'esempio che Larry M. ha fatto di Stalin come linguista sarà pure calzante: penso però allora a Nerone, che eccelleva nella poesia e nella musica; a Tamerlano che proteggeva gli artisti ai quali fece costruire Samarcanda; e persino ad Hitler che - è biografico - aborriva la carne: ma i tre personaggi non sono affatto coloro che sceglierei quale modello, rispettivamente, di cultore delle Muse, di mecenate e di vegetariano.
      Buona serata.

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  11. Solo per dire a Giorgio C. che ha capito male (colpa mia di sicuro): non intendevo affatto indicare Stalin come modello. Volevo solo dire che la necessità di una lingua nazionale è ideologica, non ha nulla a che fare coi bisogni dell'uomo in quanto tale. Purtuttavia, risottolineo, i dialetti - in quanto dispositivi di potere, come qualunque altra lingua - tendono a opporsi al progresso (non solo allo sviluppo...), tendono a schifare le innovazioni sociali, i diritti, la diversità ecc.

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  12. @ Larry M.:
    grazie per la tua precisazione: la colpa è però tutta mia, nascente da un sincero stupore nel veder nominato il personaggio in parola in un post che, apparentemente, sembrava parlare di tutt'altro. Non era così e - res melius perpensa - mi sembra pure che siamo in sintonia, sul fatto che - se v'è un'imposizione di una lingua unica ad un popolo - c'è sempre dietro un'ideologia, quindi una visione politica, anche intesa in senso ampio, con i suoi fini, e mezzi, propri. Tra questi, il mito di una lingua unificatrice.
    E' pur vero che anche la prassi del commercio ha imposto in passato lingue franche, ed oggi l'inglese. Così anche per internet, che obbliga ad avere di quest'ultimo idioma, sol per poter navigare, una conoscenza almeno rudimentale; ed una più approfondita, per poter scalfire il "core" della rete; rimanendo quindi tutte le altre lingue nazionali in una posizione di assoggettamento. Mi sembra tuttavia che in questi casi si parli di situazioni di mera praticità, prive di dignità ed ambizioni letterarie; e scevre da valenze, che sarebbero ovviamente esse stesse politiche, di opposizione al potere (ricordo tuttavia di aver sentito che M. Cacciari, credo negli anni '70, protestasse munito di cartelli scritti invariabilmente in tedesco).
    Vogliamo lasciare questo compito ai dialetti? La vis comica da sempre ne fa uso: penso ai personaggi della commedia dell'arte, ma anche, ancor prima, a Petronio; in quest'ultimo caso con un'operazione, per così dire, a rovescio o quantomeno tutto interno: il potere che si fa beffe di altro potere tramite la maschera grottesca. Troppo poco so del teatro greco e romano per avventurarmi a parlar di questi.
    Un'ultima considerazione: i nostri attuali comici raramente sono incisivi nell'irridere il potere (si scagliano contro un certo, determinato potere); benché usino con una varietà quasi monotona i più disparati dialetti, col plauso specie di chi quella particolare inflessione non la sente parlare tutti i giorni.

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  13. @Giorgio, grazie a te. Adesso metti tanta buona carne sul fuoco... sui comici di ora sono abbastanza specialista: pensano quasi tutti alla pagnotta... infatti comici veri ce ne sono pochi, quasi tutti isolati. Del resto la satira, nella filiera del comico, è un genere minore, che di solito tende a far diventare commestibili i propri bersagli. Basti pensare all'indigeribile Cicchitto, reso simpaticissimo nei programmi della Dandini dell'ultimo anno... In questo senso, il re del riciclaggio umoristico, nella sua furia coprolalica, tende a fare ancora peggio, cioè a rendere commestibile la cosa più indigeribile di tutte, la merda...

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  14. Però ci sono gli esempi di Cioran e Beckett: entrambi hanno abbandonato a un certo punto la propria madrelingua per diventare fini cesellatori di una lingua non propria. E' stato il francese, ma poteva essere l'inglese, l'italiano (perché no), qualunque lingua.
    La lingua è l'unica vera patria, diceva Cioran. Padroneggiarne una, una qualunque, magari neanche quella n cui sei nato, è essere a casa.

    Per quanto riguarda la satira, invece ... non so, l'italiano tende a essere sempre ammiccante, di suo, non affonda mai il coltello fino in fondo, perché costituzionalmente mancante di senso tragico, che è dote necessaria per fare vera satira ...
    Io penso a certi grandi comici americani, George Carlin, Bill Hicks, che si permettevano di prendere per il culo la bandiera, il presidente Usa, le religioni, l'aborto, l'omosessualità, la morte, con ferocia e naturalezza ... qui nessuno che ci arriva. Qui c'è stato un Luttazzi, che faceva pena e copiava, ma poi non l'hanno neanche lasciato finire ... ogni volta arrivava la telefonata del politico di merda di turno.
    Non sono filoamericano, anzi, l'opposto ... ma mi interessano le persone che dicono quello che non si può dire, magari facendo ridere ... dire quello che tutti possono dire, per un comico, è da stronzi ... danno fastidio, ma fastidio veramente, non come Celentano ...

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