Come la poesia può salvarvi la vita



Spesso si sente dire dalle persone studiose e non studiose che la poesia può uccidere. Molti poeti sarebbero morti per eccesso di poesia nel corpo e con loro, vuoi per gli stenti vuoi per la tristezza e il crepacuore, anche quelli che gli stavano attorno.
Io a tale lettura non mi voglio opporre, ci mancherebbe altro, ma in questo gustoso racconto vorrei dar voce all'idea che la poesia può anche salvare la vostra vita e, in certi casi, il vostro seppur becero patrimonio.
Veniamo allora a noi.
Io di solito non sono un individuo puntuale. Se ho un appuntamento però, carico la sveglia, mi alzo sempre in tempo, anzi mi alzo con larghissimo anticipo: è il dopo che mi imbroglia. Mangiare, prepararsi, vestirsi, uscire, predispormi, sì questo è il più difficile, predispormi alla sopportazione del prossimo. Ed infine mi frega il gabinetto. Io al gabinetto, come fanno in molti, leggo. Ma leggo delle ore. Le gambe si addormentano, lotto con le formiche, mi dispero di arrivare a letto e stendermi. 
Per questo ed altri motivi, arrivo ritardatario nei posti, praticamente sempre. 
Un giorno, una mattina, dovevo andare in banca a depositare una cifra piccola ma per me considerevole che avevo da poco ereditato per linea materna. Era una bella giornata, di quelle che è un piacere uscire, parlottare in piazza, solcare con le gambe il paese, le facce della gente o il volto duro della crisi. 
Ricordo che mi ero svegliato dandomi degli imperativi se non categorici certo rigidi, esortativi: stamattina esci presto, almeno per mezzogiorno, deposita i soldi in banca (una parte, l'altra sostieni di averla depositata ma tienila stretta sotto il mattone) e scorrazza un po' tra il bar, il giornalaio, il campo d'allenamento della squadra. In una parola fraterna: vivi!  
Invece, passa un'ora, passa due ore, passa tre ore, era mezzogiorno e io, incantato alle canzoni di Piero Ciampi e di Leo Ferrè, non mi decidevo ad uscire. Perdevo (?) tempo. In casi simili spesso non esco proprio più e quel giorno Piero Ciampi e Leo Ferrè mi incatenavano al letto come non mai... vedevo nitidamente con gli occhi di dietro, quelli dell'incoscienza, la forza della natura poetica che mi teneva per le spalle e mi teneva avvolto a sé. 
Alla fine, però, l'ho sentita anche un poco scemare, mollare di presa... ed a un certo punto, toh, ero libero, come senza più manette. E scattai fuori. 
All'arrivo in banca, ricordo che mezzo intontito spingevo il bottone per entrare nella porta girevole, ma non s'apriva. Mi sembrò subito strano.... avevo visto pure uno strano movimento dalle parti del semaforo, quando ero uscito dalla macchina. Allora mi girai e alle mie spalle arrivavano di corsa due poliziotti che urlarono via via via. I rapinatori erano (ovviamente) appena scappati. 
Seppi poi dal racconto dei presenti, cassiere in lacrime comprese, e dalle precise ricostruzioni dei giornalai, che c'era stata una bella rapina a mano armata, con un discreto bottino (in parte rovinato dalle banconote civetta) - d'altronde oltre alle casse i rapinatori sotto minaccia di pistola avevano spogliato dei loro averi (denari, ori e preziosi) tutti i clienti allora presenti. 
E' chiaro che sarei stato lì in mezzo anche io se non mi avessero trattenuto a forza Piero Ciampi e Leo Ferrè. Bastava un soffio. 

Da questo credo possiamo ricavare due morali intrecciabili: che la poesia può salvarvi la vita e il vostro becero patrimonio, e qui l'ho dimostrato, ma delle volte, così facendo, la poesia vi salva ahimè dalla poesia stessaEd è quello che è accaduto a me quel giorno che ho qui sopra tanto maldestramente raccontato. 





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