A settembre si è tutti più boni


Andrea Cambi
"Uno che parte da zero e non arriva a nulla non deve dir grazie a nessuno"*
"Si muore una volta sola, signor Bellosi!"**

Il pezzo di oggi si intitola A settembre si è tutti più boni, parla di vita settembrina e di grande tradizione ancient regime e fa così, più o meno: 
A settembre si è tutti più boni (anche le donne dopo la festa in costume dell'estate che finalmente si ricoprono); il tempo rimane bello, l'aria però è più fresca, si respira meglio e si passeggia nell'armonico; lentamente si torna ad occuparsi di questo e quello, il grembiule e l'abbecedario per i bambini, la mensa, l'ufficio, la stazioncina dei treni; al tramonto c'è quell'atmosfera da appuntamento colla tua soap-opera preferita, l'ambiente è più dolce, c'è il garzone che la mattina ti mette la bottiglia del latte fresco davanti alla porta come nei film americani di campagna... nessuno ha davvero voglia di far nulla. C'è soddisfazione a vivere così, in questa bolla autunnale che ci solletica l'anima. 
Almeno a me piace. 

Lo scorso settembre non me lo tanto ricordo, ma quello prima ancora mi ricordo una festa dell'uva (ché da noi feste dell'unità non ne fanno) con i carri carnevaleschi e l'umanità contadina piena e mi ricordo che aprirono al pubblico delle ville mai aperte fino ad allora, che erano rimaste chiuse per anni e anni. 
Si va non si va, andammo. 
Ricordo le belle pavimentazioni antiche, a dislivello e a dismisura, e soprattutto i mobili fatti come le case dei giocattoli. 
Alla fine, come sempre, davanti alla villa, sul giardino, avevano attrezzato un aperitivo, vino, campari, salsicce, spuntini. Sempre questo mangiare. Aperitivo e persone abbronzatissime. Ecco un connubio molto moderno, pensavo proprio mentre guardavo queste persone del bel mondo di provincia, del bel mondo di campagna, che è già di per sé un bellissimo ossimoro, e pensavo a quanto potesse essere volgare l'abbronzatura nera da mare, la negritudine da mare, e quanto invece trovavo elegante la tanto comunemente vilipesa abbronzatura da muratore, o comunque se non elegante almeno creativa, a macchie policentriche, braccia, collo, gambe, calzini, scarpe antifortunistiche. 
Una cosa che mi colpì della villa, che poi era la villa del fattore, dell'amministratore, non troppo lontana dall'impenetrabile palazzo padronale, erano le scuderie con le carrozze sfasciate dentro, lasciate cigolare per l'eterno. 

Nessuno ci faceva tanto caso al retro della costruzione, io dopo un po' di noia e qualche bicchiere in corpo, ero finito a gironzolare dietro e senza esser visto dal buttafuori, mi ero intrufolato nelle scuderie. Le carrozze mi garbano parecchio. Mi danno quell'odore ancestrale di scampagnate ottocentesche, di Dejeuner sur l'herbe, di Marcel Proust, di roba ancient regime. Un tempo certe cose mi avrebbero dato assai fastidio, ma adesso coll'espansione del mio immaginario, riesco a mettere dei corpi veri dentro quelle cornici immaginifiche "false"; così mi riesce più facile immaginare il tutto, non mi sembra più la miniatura finta, l'acquerello stilizzato di quegli anni. Ci vedo delle persone in carne ed ossa. Eleganti, sì, ma in carne ed ossa... che poi scampagna scampagna, un po' si dovevano sporcare pure loro, o no? 
E' un po' di tempo insomma che ho cominciato a fabbricarmela per fatti miei la realtà senza aspettare nessuno che venga a immaginar le cose al posto mio, e devo dire che se non divento pazzo, mbè, tanto male non si sta. Basta evitare di stravolgere tutto ogni due per due. Con un po' di coerenza e un po' di sano riformismo, si campa assai meglio di come vogliono farci credere i signori della televisione.

In quella circostanza settembrina ebbi a conoscere anche il feudatario di qualche altro vecchio pezzo qui pubblicato. Era lui il tenutario della villa e del palazzo padronale e delle scuderie e delle carrozze sfasciate e dei cigolii eterni, era il proprietario di tutto; ebbe a dirmi in quell'occasione che lui non aveva mai lavorato in vita sua manco un giorno e che anche se ormai a soldi stava male male ché il suo babbo messosi a fare affari non ne aveva beccata una, non è che si metteva a corciarsi le maniche ora che c'aveva quasi cinquant'anni e un'onorata carriera di nullafacenza alla spalle; io che allora non ne avevo manco trenta ma che pure io il lavoro non mi piaceva e tuttora non mi piace manco un po' gli ho detto guarda io tifo per te, ti quoto come si dice oggi, non lavorare, continua così, sei un grande esempio per tutti in provincia.... Lui allora m'ha chiesto, ricco pure tu che non lavori? No, gli ho detto io, povero, però non faccio un cazzo lo stesso. Lui allora s'è anche lui molto congratulato da tenutario di tutto rispetto a me tenutario di niente, dicendo finalmente un proletario che non lavora, e io gli ho detto guardi tenutario che io non c'ho manco la prole, sicché al massimo gli sono un tario e basta. Ha annuito di gusto e ci siamo stretti la mano, tenutario da una parte e tario dall'altra, senza però poter dimenticare sia lui sia io che mentre il sottoscritto partiva da zero per non arrivare a nulla, lui invece senza voler insistere partiva almeno almeno da tre o quattro - che è un gran bel vantaggio (per me intendo... vuoi mettere partire da zero come arrivi prima a nulla). A tempo debito i ringraziamenti. 
Ad ogni modo, il suo gesto di aprire la gelosa villa di famiglia in quell'occasione così popolare non può che esser letta come l'ennesima prova che a settembre si è tutti più boni. 

Come passerò questo settembre? 
Mah, credo che farò quello che faccio tutti i giorni, stare seduto/sdraiato a leggere e scrivere, più leggere che scrivere, e vedere qualche film e programma alla televisione secondo quello che passa il convento; poi per risultare più moderno e rimettermi alla pari con la gioventù locale (ché è pure brutto che gli amici ti dicono hai visto questo hai visto quello e tu non hai visto mai niente perché le serie televisive non ti vanno a genio), mi dedicherò (io mi dedicherò!) alla serie televisiva maggiormente autunnale presente sulla grande piattaforma Netflix: Derek, sfruttando l'abbonamento di un mio famiglio. Splendidi i personaggi principali, Dereck in testa, ma non sottovaluterei nemmeno il burbero aggiusta-tutto Dougie, l'erotomane alcolizzato Kev e la dolcissima Hannah, oltre agli immobilissimi anziani dello strepitoso ospizio inglese, veri polmoni della serie.  
Quando ho visto che avevano fatto una serie così, ambientata in una casa di riposo, da una parte ho goduto a riccio, dall'altra mi sono rammaricato a gufo perché scrivere su un ricovero per anziani è un'idea che ho sempre avuto - non che non si possa fare più ma mentre prima c'avevi il vantaggio d'essere il primo ora piaccia o no ti devi confrontare con quelli che vengono prima di te (?). 

Il segreto in realtà come sempre credo è fregarsene dei modelli, del pubblico e della cultura.
E anche di voler far per forza l'Arte... che di solito, come la vita, viene quando pensi a fare altro. O non pensi proprio a niente. 





** Le citazioni di Andrea Cambi in epigrafe al racconto sono tratte la prima* da Barlume scritto assieme a Giovanni Clemente e con la regia di Larry Generoso, mentre la seconda** è tratta dal film Dal paradiso scritto con Giovanni Cioni con la regia di Giovanni Cioni.

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