L'intervistatore maledetto - una parabola imperfetta





Eccoli là davanti, tutti gli intervistatori, i giornalisti, gli uomini famosi, gli artisti, gli intervistati, che aveva conosciuto nella sua breve vita, eccoli là davanti. Non valevano niente. Nessuno. Anche adesso, nonostante fossero stati trasformati in marionette dalle macchine di riproduzione, continuavano a contenere parti umane. Avevano fatto di nuovo dei capannelli. Capannelli di paura, ma capannelli. Si tiravano a vicenda il poco fiato che gli rimaneva. 
Com'era possibile? Eppure era così. Vermi della carta stampata, pensò. Nient'altro che vermi della carta stampata. 
Gli apparivano come erano stati in vita: sciocchi, immaturi, miseri, superficiali. Ma soprattutto in gruppo! Anche in quel salone scipito di luce, slavato e smorto. Era questa una delle cose che non riusciva a tollerare più, a maggior ragione in questa nuova dimensione, brutalmente replicata. Tutti gli intervistatori, suoi colleghi, tutti gli artisti che aveva intervistato, erano degli insulsi, gente non in grado di mettere assieme un solo fatto con una sola idea; totalmente incapaci di staccare una passione da un pensiero; una marchetta da una poesia. Non solo. C'era il gruppo degli amatori di questo, di quello, di quell'altro. Tutta pigrizia mentale. Si innamoravano di un poeta, come può essere il grande Hölderlin, e facevano il gruppo degli innamorati di Hölderlin. Finché c'era da informare sulla vita e le bassezze dell'informazione culturale, mbè, erano informatissimi. Hölderlin è nato... Hölderlin ha fatto... su questa pietra Hölderlin ha poetato una poesia immortale... su quest'altra Hölderlin è morto. Quando c'era però da formulare un'idea che non fosse "quant'è grande Hölderlin!", quando qualcuno formulava un'idea che esulasse l'encomio "quant'è grande Hölderlin!", ecco allora che il gruppo mostrava i denti e la loro violenza era tale soprattutto per mezzo dell'indifferenza, del silenzio. Solo dopo, l'ostracismo. La fortuna d'essere odiato e la sua totale assenza di fama gli aveva risparmiato di dover fronteggiare gli adoratori. Gli adulatori. Non ne aveva avuti. Così come raramente aveva avuto lettori. 
I colleghi intervistatori, che lui aveva sempre spontaneamente odiato e da cui era sempre stato sinceramente ricambiato d'odio, avevano la stessa idea della vita professionale degli amatori di Hölderlin. Adulatori, non facevano domande, ma costruivano sponde per aumentare la forza rifrangente dello specchio degli uomini intervistati. Non avevano idee proprie, ripetevano quelle di chi intervistavano... "ci potrebbe chiarire la tale idea geniale scaturita dalla sommità del tomo nono della sua immensa opera" oppure ammiccavano come solo loro sanno fare... 
Lui in questo aveva fatto il primo scarto. Le sue interviste erano alla pari. Pur essendo anche in questo solo basso rango (un semplice intervistatore) spesso era nettamente superiore al grande artista al quale poneva domande. Pretendeva avere delle idee prima di arrivare davanti al personaggio che doveva intervistare. Aveva letto davvero i suoi libri, ascoltato davvero i suoi dischi, guardato davvero i suoi film. E faceva delle domande, non costruiva delle sponde. Per preparare un'intervista poteva occorrere un anno, delle volte due. O tre mesi. Il tutto commiserato alla grandezza dell'arte prodotta. Non importava il tempo: all'inizio era ricco, poteva permettersi lunghi periodi di studio. Poi, dilapidata la fortuna famigliare, che lui credeva maggiore, s'era costretto alla miseria, alla scarnificazione della persona pur di non finire alla stregua dei suoi colleghi (che orrenda parola, rifletteva, io non possiedo colleghi: io non possiedo nulla). Si rendeva conto di vivere, malgrado la sua stessa volontà, secondo un'etica rigorosa. Che conosceva più morte che vita. Ma era l'unico rimasto in vita (era forse quella una punizione?). All'arrivo di questo strano dio iracondo piovuto sulla terra che li aveva riuniti tutti in un salone oscuro, pieno di invisibili affreschi, furono trasformati tutti in marionette dalle sue orrende e dolorose macchine di riproduzione. Solo lui, il maledetto, era rimasto uomo. Ma era l'uomo a cui interessavano solo i morti, i ranghi più bassi della conoscenza del mondo e degli uomini, i detriti, le particelle sgretolate e la morte. 
Così fu accompagnato dal dio ad esaudire l'ultimo suo desiderio di artista semi-vivente. L'intervista finale allo spirito gentile e perfetto di un morto, un'annegata in un piccolo ruscello dall'acqua rasoterra. Gonfia più di materia spirituale che d'acqua, l'ultima intervista all'annegata durò ore. Forse giorni. Anni. Nessuno ne sa nulla. Men che meno, dicono, l'intervistatore maledetto (o il maledetto intervistatore). 
Della sua ultima intervista non sono rimaste tracce: nessuna registrazione, nessun articolo, nessun appunto per lo meno pubblicato. Tutto sfumato nell'etereo della parola viva. 
Dopo questo atto, non ha fatto più interviste.

Parte ogni sera un volo diretto per Lontano. E' andato via.

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