Sull'orlo del precipizio di Antonio Manzini




E' da un po' di tempo che non mi faccio vivo da queste parti e mi piaceva riprendere le pubblicazioni parlando di un autore simpatico - o perlomeno che a me risulta simpatico - come Manzini, Antonio Manzini, che è anche attore, al quale mi permetto sul finale del pezzo di porre una domanda (retorica, certo, molto retorica... a meno che Manzini non si prenda la briga di venire fin qui in bottega a rispondermi - quindi lascio aperto. Il web è un mare, dicono, un mare di rifiuti mi pare, rifiuti e qualche cosa di bello però, e io m'azzardo ad infilare questo messaggio dentro una scatoletta di tonno arrugginita raccattata a riva e lanciarla... vicino, o comunque secondo le mie forze; tanto, lo sanno tutti, affannarsi non serve a molto: un giorno si scoprirà che il mare non è mai esistito, eravamo con i piedi nel fango della pozzanghera e continueremo a ridere ancora più forte di chi si agitava tanto).

Sull'orlo del precipizio è un racconto apparso qualche anno fa, sul finire del 2015, per l'editore Sellerio che ha avuto, tra i tanti, il merito di farci conoscere assieme alla Rai e all'attore Giallini quel vicequestore gagliardo di Rocco Schiavone. Ora però devo dire onestamente che con Rocco Schiavone il libro Sull'orlo del precipizio non c'entra niente. Non c'è come personaggio. Non è un giallo. 
Il libro parla irrealtà di editoria, di fantaeditoria, ed è a conti fatti una distopia sul mondo editoriale, dal tono però in bilico tra la parodia del genere stesso e una favola con una morale che si potrebbe aprire a più letture. 
Il racconto si legge veloce. Manzini mi pare non abbia le grandi velleità che in Italia di solito abbiamo un po' tutti solo perché a caso o per scherzo prendiamo in mano una penna e ci viene in testa di scrivere qualcosa. Magari una recensioncella. 
Insomma, nel libro succede che un grande, famoso e titolatissimo scrittore, Giorgio Volpe, il migliore scrittore italiano, ha finito un grande romanzo, dopo due anni e più di fatica. Il suo romanzo si intitola Sull'orlo del precipizio e, presentato alla sua casa editrice che è una delle migliori dello stivale, fa gridare al capolavoro i suoi redattori. Nel frattempo la casa si fonde con le altre due più grandi case editrici italiane: nasce Sigma, una sigla-mostro che fagocita tutto il mercato e a poco a poco, sembra, il mondo intero. Cambia tutto. E cambia tutto pure per Giorgio Volpe che all'inizio, seppur morso da qualche tarlo etico, aveva sottovalutato il pericolo di una tale fusione, pensando che per lui, così importante, così amato da critica e pubblico, così popolare, non sarebbe successo nulla di male. Accade invece che il suo nuovo romanzo, romanzo per di più così intimo, "sofferto", personale, persi i soliti interlocutori della vecchia casa editrice (chi è cacciato, chi sbattuto in pensione, chi smaterializzato), viene bastonato, depezzato, tagliato, riscritto, ammutinato dai nuovi che avanzano. Sigma ha tutt'un'altra idea della letteratura, anche la narrativa italiana non si chiama più Narrativa italiana ma Comunicazione in lingua indigena e arrivati a questo punto a Manzini esce una pagina molto divertente che copio per intero. 
In scena ci sono Volpe e i suoi nuovi editor, Aldo e un russo, Sergej, che si picca di fare editing ma non conosce nemmeno l'italiano:




«Adesso la Sigma ripubblica tutti i successi del grande scrittore russo».

«I successi?» disse sbalordito Giorgio. «E che è, una compilation?».

«Sì. Vojna i mir esce settimana prossima. Ma senza inizio in francese... senza Waterloo, più corto. Solo 300 pagine». Sergej sorrise contento e fiero.
«Vojna i mir... Guerra e pace?».
«Solo pace. Guerra la tagliamo tutta».
«Non si può angosciare il lettore. Guerra, odio, morte, malattie, romanzi distopici e senza futuro, basta! Pace, amore, ottimismo e fratellanza, ecco le nuove direttive Sigma!» esclamò Aldo.
«E tanto tanto avventura» aggiunse Sergej tirando fuori una moleskine nera con il logo della Sigma stampato in oro sulla copertina. «Vede tu? Ora io dice...» e si mise a leggere. «Avventura sì. Malattie no. Divorzio no. Divorzio commedia sì. Matrimonio sì. Corna sì solo se poi pace. Corna e divorzio no. Sesso tanto. Con animali sì. Uomo e donna sì. Donna donna sì. Uomo uomo no. Capisce?».
Giorgio cominciò a sorridere. Ormai s’era convinto che fosse tutto uno scherzo.
«Guerra e pace si chiamerà solo Pace. Oblomov fa tante cose, fa industrie, diventa imprenditore e fa amore!» ammise felice Sergej.
«Già. E poi toccherà ad Anna Karenina!» disse Aldo.
«Ah sì? E come sarà? Magari non finisce sotto il treno...».
«Lei grande intuito. Come fatto a saperlo?» disse Sergej stupefatto. «Fuga notizie?» e si accigliò.
«Cazzo, è un incubo. Ora mi sveglio e questi due non ci sono più» si ripeteva a bassa voce lo scrittore genovese con le mani serrate davanti al viso. Ma quando le riaprì i due erano sempre lì, seduti al tavolo pronti a cominciare il lavoro.
«Io per esempio ho tradotto I viceré per la Sigma» fece Aldo.
«Tradotto? È scritto in italiano, che cosa vuole tradurre!».
«Lo dice lei. Ora esce di nuovo con la Sigma in vero italiano. E pure Gadda e pure Camilleri. Sto ritraducendo tutta la letteratura italiana. L’operazione difficile sarà coi Promessi sposi... sa, quell’italiano lì...».
«Quell’italiano lì?» chiese Giorgio che non aveva più spazio per sgranare gli occhi.
«Ma sì. Noi, la Sigma, vogliamo avvicinare i ragazzi alla letteratura e usare una lingua che gli faccia amare i libri. Vuole un esempio?».
«La prego...».
Aldo afferrò il palmare, lo schiaffeggiò un paio di volte, poi cominciò a leggere. «Senta l’inizio dei Promessi sposi... “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume...” che palle, no?».
«Che palle?» urlò Giorgio.
«Da oggi diventa: “Quel pezzo di lago in provincia di Como (città di 85 mila abitanti, situata in Lombardia dove nacquero Plinio il vecchio, Plinio il giovane e Alessandro Volta, l’inventore della pila), che davvero non si incula nessuno, sperduto in mezzo a montagne lunghe lunghe, pieno di insenature e golfi, si restringe all’improvviso e, toh, sembra quasi un fiume!”. Ecco, lo sente? La prosa diventa moderna, pochi fronzoli, informazioni utili come se il testo fosse su internet e cliccando Como rilasciasse dettagli. Vuole che le legga l’incontro fra i coatti e don Abbondio?».
«I coatti?».
«I Bravi, dai. “Questo matrimonio non s’ha da fare...” ma chi parla così? Ora invece senta che meraviglia: “Prova a fa’ ’sto matrimonio e ti rompiamo il culo, bello”. È un’altra cosa. È così che i giovani si avvicinano alla letteratura».

Spiritoso, no?
Fin qui infatti tutto bene. Il racconto mi stava piacendo.

Saltiamo al finale. 
Non voglio parlare troppo della storia per non rovinare, come si dice, la sorpresa, anche se è abbastanza prevedibile quello che accadrà (d'altronde la prevedibilità rientra nel gioco caricaturale del racconto - lo ripeto: non è un giallo) ma c'è un momento nella storia che appare in scena un personaggio che ci è presentato come ultimo paladino della letteratura e che per la letteratura in qualche maniera si batte finché non è preso di forza dagli uomini di Sigma e portato via, chissà dove. Un vecchio critico letterario del Corriere, un professore della Sapienza di Roma. Gilberto Cincinnati. 
Dopo averlo fatto parlare con verità e senso della giustizia letteraria, dopo avergli già fatto fare insomma un gran figura, di lui Manzini ad un certo punto scrive: 
Se ne andava così, umiliato, trascinato via come un ladro. Cincinnati, che aveva insegnato a scrivere a un’intera generazione, adesso era un sacco di patate neanche buono per la pensione.

Ciò che chiedo a Manzini è la seguente domanda: ma proprio tu, Manzini, che sei tanto poco professorale nello scrivere, che scrivi per il mercato editoriale e non per l'accademia, ci vieni a dire che un critico letterario, un professore della Sapienza, ha insegnato a scrivere a un'intera generazione?
Da quando in qua un critico insegna a scrivere agli scrittori?
Perché?
Ma ne sei proprio sicuro?

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