Di chi è la letteratura?



Di compagni di strada ne ho sempre avuti tanti, e per quanto strano possa apparire, ne ho sempre avuti tanti anche sulla strada artistica.

Fu molto tempo fa. 
Io ero fuori regione per motivi noiosi e mi sentivo assai spaesato. Ricordo che eravamo sul finire dell'autunno ma non pioveva molto, pioveva poco, faceva anzi caldo, un caldo che metteva voglia di vivere, sembrava di assistere ad un'eterna primavera e si camminava molto per le strade e per i vicoli, sfuggendo ai pensieri; mi accadde perciò che un giorno, perdendomi in città perché ho sempre avuto poco orientamento, mi ritrovai su una strada artistica - qui c'era chi ti tirava da una parte, chi ti tirava dall'altra, chi voleva farti vedere un quadro, chi leggere un libro e non sapendo più come uscirne, respinto com'ero dai numerosi vicoli ciechi di quella strada, mi ritrovai pure io a fare l'artificioso dentro una numerosa compagnia artistica. 
La compagnia era composta in prevalenza da giovani benestanti molto istruiti, che facevano le scuole alte e indossavano vestiti vistosi, a quadretti, o affusolati come sigarette.
La loro abitudine era di stare ai tavolinetti dei caffè belli coi lampadari e l'aria poetica come una volta quelli ermetici al caffè Giubbe Rosse di Firenze o, andando più in periferia, nelle mense universitarie o nelle trattorie da poche lire dove si poteva ancora fumare liberamente e invece di andare a lezione o studiare questi ragazzi stavano dalla mattina alla sera a disquisire.

Spesso, mi sembrava, senza voler troppo offendere nessuno, parlavano a vanvera; dicevano i loro pensieri sulle 
cose senza saperne e capirne nulla, solo per sentito dire e allora si sentiva dire di tutto: sociologia, politica, pittura, lavoro intellettuale, giornalismo, letteratura.
Nemmeno io ne sapevo e ne capivo molto, ma più per pudore che per perizia, a mia parziale discolpa, devo dire che me ne stavo zitto zitto ai margini d'ogni simposio.
Questo perché spesso non sapevo che pensieri fare se loro dicevano parole difficili come weltanschauung ma anche meno difficili come flashback o spoiler (mi toccava segnarmi quei vocaboli tanto difficili su un calepino che portavo sempre con me e cercarli poi in biblioteca quando potevo... certo non fu facile appuntare weltanschauung per la quale infine dovetti chiedere la scolastica compitazione... w... poi? e... poi?: ci credete che non la sapeva scrivere nessuno?).

Più di frequente però i discorsi riguardavano le sorti della letteratura e il fatto che stesse miseramente naufragando; che di qualità non ce n’era più, che gli scrittori sembravano tutti dei morti che scrivono - il che, so per certo oggi, sarebbe un gran bel complimento.

Insomma, si parlava della famigerata qualità e della decadenza artistica, e io anche in questo frangente dove chiunque, diciamocela tutta, è in grado di dire la sua, magari ripetendo le cose che dicono tutti sui giornali e sulla televisione, io nemmeno in questo frangente, volutamente abbassato per potermi fare esprimere pure a me, non riuscivo tanto a esprimermi bene, o meglio la mia esperienza mi suggeriva altre idee rispetto alle loro e non sapevo se quelle idee potevano trovare asilo nella loro via artistica visto che venivano da un mondo assai lontano dal loro, un mondo fatto più di parolacce che di parole, più di bestemmie che di versi (sempre che le bestemmie non siano dei versi), un mondo fatto di cinismo agricolo, insomma: il mio mondo.


Leggevo, ricordo, parecchi libri per fatti miei, raccartati tra bancarelle, biblioteche, librerie piccine e librerie sesquipedali, case di sodali e dove capitava e mi sembrava che la letteratura se uno la cercava c’era, ce n’era a buttare, come si dice; mi sembrava che dappertutto si trovasse un’offerta gra
ndissima, un’offerta a dir poco strabiliante e strabordante rispetto alla richiesta, quella sì abbastanza misera, e non capivo il loro allarmismo di non trovare nulla da leggere da nessuna parte se da leggere c’era e c’è veramente il mondo e non basta una vita, ce ne vogliono cento duecento trecento, per leggere tutta questa offerta del mondo scritto.
Mi chiedevo, infatti, anche un po' impertinente, ma come cercano la letteratura questi signori? dove vanno a cercarli i libri ché gli basterebbe prendere quelli che c’hanno a casa? Gli bastava davvero fare su col naso ed eccola là, fulgida, meravigliosa, brillargli negli occhi. La Letteratura.
Di che si lamentavano?


Quando poi ripetevano l'antifona, se si dice così, del naufragio letterario, che la letteratura era finita, spacciata, che era naufragata e non c’era più niente da dire né da fare, mi veniva sempre in mente la storia del naufragio di mio nonno, un nonno particolare che c’aveva tutta una maniera sua di ragionare e voler bene e di approcciarsi alle cose, e che mostrava uno scetticismo talmente radicale verso il mondo e gli umani che gli era venuta la schiena a forma di punto interrogativo (una chiara metafora di sé stesso, è evidente), e dagli anni novanta in poi s’era pure cecato. Prima aveva parato le pecore e i maiali tutta la vita: può darsi che fosse diventato cieco a furia di stare a guardare le pecore e i maiali?
Così diceva mia nonna che aveva sì una lingua per sette femmine ma aveva ragione lei a dire che a fare la guardia alle pecore ci si rimette sempre (ché poi le pecore non erano manco sue, ma dello gnore padrone, e a rimetterci la vista per le pecore dello gnore padrone, diciamoci la verità, rompe il cazzo).
Ad ogni modo, la storia del naufragio della letteratura mi ricordava sempre come ho detto il naufragio di mio nonno e un giorno, facendomi coraggio, benché mio nonno non fosse un tipo da letteratura né un tipo internazionale, un giorno la raccontai ai compagni artistici, pure per non far vedere che non parlavo mai... ché sette lingue son troppe, ma una almeno, seppure taciturna e svogliata, ce la pur vuole.
Mio nonno cadde prigioniero in Africa durante la seconda grande guerra mondiale e ci rimase parecchio tempo.
Quando la guerra finì, che si fece il tana libera tutti, stivarono questi prigionieri in una grande nave più grande della Concordia, penso, per rispedirli in Italia. Questa nave ben presto cominciò a imbarcare acqua come succede spesso ai poveracci che viaggiano in mare.
Con agile lentezza la notizia si spandette per la nave. Mio nonno fu l’ultimo a scoprire che c’era una falla, che la nave incamerava acqua e che stavano per naufragare.

Lo scoprì perché vide un altro profugo come lui che piangeva.

Gli chiese oh, perché piangi?

Quello gli disse stizzito come perché piango, ma che non lo sai? non hai sentito niente? Ci sta una falla grossa come una casa sotto… un altro po’ la barca affonda…

E mio nonno tutto placido gli rispose e che cazzo te ne frega a te, ché la barca è la tua?


Questo, raccontato alla svelta, è il naufragio di mio nonno, ex prigioniero profugo dall’Africa all’Italia. Non so se fu un naufragio pieno oppure no, la storia si piantava qua, il finale era aperto anche se mio nonno poi stava in mezzo a noi a raccontarcela e io a meno che non mi sono sognato anche questo nacqui dopo, quindi è probabile che riuscì a salvarsi dal naufragio ed ebbe modo di tornare nel suo odiato Abruzzo e di sposarsi con una donna da cui poi ecc ecc.

Il breve racconto non è granché, dissi ai miei sodali artistici, ma ci insegna che delle volte noi pensiamo ci sia un naufragio, anche magari in noi stessi, magari un naufragio di proporzioni inaudite, diventiamo catastrofisti, immiseriamo, ci immalinconiamo, ma poi in realtà questo naufragio non c’è davvero. E’ nella nostra testa, perché sono gli altri che ce l'hanno messa con i loro atti e le loro parole, mandando delle volte in giro anche notizie false e noi umani per natura siamo creduloni e boccaloni, ci caschiamo. 

La ricetta delle volte può essere non credere a niente al primo colpo (manco al secondo e al terzo). Non credere. Come non credeva a nulla il mio nonno naufrago per finta o a metà.

Eppoi, alla fine, pure se sto naufragio letterario c’è veramente, gli dissi io a tutti questi seduti a bocca aperta, diciamocela tutta, ma a voi che cazzo ve ne frega… ché la letteratura è la vostra?



(Va da sé che da allora non mi chiamarono più e si interruppe la mia pur piacevole frequentazione della bella strada artistica della capitale). 

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