Quinta lettera trafelata dal disonore

Caro D'Annunzio, 
ti stanno facendo fuori con tutti i mezzi che hanno sottotiro.
Ciò, lo sai da solo, equivale a dire che stanno annientando la Bellezza. 
Già allora, ai tuoi anni celestini, quando inviavi sigarette profumate a Luigi Pirandello, quello sbuffava e diceva "Il solito Gabriele D'Annunzio!". 
Non sapevano godere che se non in mezzo ai quartieri popolari, ai casermoni. Facevano finta, certo, io che li conosco bene non li amo: non mi va di fare la finta.
Il Sapere degradato di Stato ti ha intitolato pure un'Università, nel 1965, nella tua Pescara. Non ci hanno capito niente. 


Resta il fatto che hai fatto bene a non adoperare la lingua delle domestiche, dell'informazione casalinga, per fare letteratura. Ti vantavi di aver usato vascelli e vascelli di parole. Non si viaggia senza, come darti torto. Mi piace pensarti a parlare con ee cummings. 
Hai scritto "Il trionfo della morte".
Meglio tu che Pasolini, lasciatelo dire, lo sapevi da solo, ma lasciatelo dire: Pasolini zoppicava (zappava?) pesante sulla penna: la penna a terra, come una zappa; solo tu avresti affrontato il duello con lui, che era grande intellettuale però, più di te, tu glielo avresti detto in piena faccia, come un colpo di bel guanto, che scrivevi meglio di lui ("nel meglio" avresti detto "è contemplato anche il peggio, siamo decadenti, Pierpaolo"; che lo sai che Pasolini è furbo e avrebbe, come si dice, rigirato la frittata); a Giorgio Manganelli per far questo pare sia mancata occasione e forse coraggio, e non gliel'ha mai detto, salvo poi dirlo alla figlia Lietta: che cosa può valere? 


Saluti, quindi, caro (scusa l'uso improprio) Vate
da Malta,  
(dove non mi trovo) 

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