Un soggetto noioso



Un po' di diarismo spiccio che mi vorrete scusare.
Oggi ero al mercato dell'ortofrutta, e ispezionavo la mercanzia con  fare di cuoco consumato (quale in certo senso sono), una signora di bella età andante parlava col venditore del banco... ad un certo momento, non so come, presa da chissà quale demone, la signora decide di estendere il ragionamento che faceva con lui anche a noi astanti, che eravamo due, tre persone in tutto spalmate per oblungo sopra la bancarella che compulsavamo la frutta: la signora quindi si gira di qua e di là col petto abbondante per far largo alle sue parole e con uno sguardo zuccherato che ci interpella, dice: «Non lo so voi, ma io non vedo l'ora che ricomincia Barbara e la tv normale»... Alcuni annuiscono, sempre immersi quali sono nel settore ortofrutticolo.
Credo che per «Barbara» intendesse la conduttrice Barbara D'Urso e per «tv normale» la programmazione dei palinsesti autunnali. 
Siccome il più prossimo (non so se si può dire grammaticalmente) alla signora ero io non mi bastava annuire come gli altri da sotto un pomodoro, ho dovuto replicare verbalmente, ma bugiardandola, per forza: «Pure io signò, pure io... non vedo l'ora». 
Allora sulla sua faccia s'è aperta una grande risata come un fiore. In quel guizzo di luce azzurra la signora ha lasciato scoperte, come tirandosi su la gonna, l'antica bellezza, e una malizia civettuola che non le sospettavo. A quel punto mi sono affrettato a cucire alla mia prima risposta un'altra frasetta così da non sembrare un burbero che non vuole essere parlato, e ho detto: «Ma pure i film infatti... d'estate non fanno mai vedere niente...».


Questo mi ha fatto venire in mente per obliquo che tempo fa avevo in mente un tema per scrivere un racconto su un uomo intelligentissimo, un interprete del suo tempo, uno che riesce a calibrare e dare il giusto peso ad ogni enunciato che esce fuori dai libri, dalla stampa, dall'arte, dagli intellettuali, dalle fabbriche della cultura. Un uomo molto vispo, coll'intelletto guizzante, curioso, empirico quanto teorico, un tipo per la famiglia natale estremamente bizzarro e a volte freddo, camussiano. 
La vita non gli ha dato altro che un bel mucchietto di tempo libero, sudato, ma stancamente, prendendo la laurea in una di quelle materie umanistiche, quelle che “nun servan a gnent”… che non serviranno a niente ma gli hanno aperto una porticina statale nella scuola pubblica dove sistemarsi a vita, dopo tutto il pallido (ma non grigio) cursus honorum di scuole di avviamento alla didattica, i concorsi, le graduatorie, le supplenze, gli spostamenti a giro per la penisola, e tante altre fastidiose minuzie che caratterizzano la detta carriera. L'uomo però è genericamente felice, perché la mattina va a scuola, e nemmeno sempre, non si deve smazzare per metter insieme il programma, non deve cioè fare eccessivo dispendio d’energie... i pomeriggi, salvo qualche capatina ai consigli o ai colloqui genitoriali, qualche compito da correggere, un verbale da consegnare o le ripetizioni per arrotondare il reddito ministeriale, al netto di tutto questo, l'uomo ha più ore di passatempo rispetto ai suoi contemporanei. Può leggere, scrivere, educersi, guardare film, girare in treno e auto attorno alla regione, in cerca di libri e di biblioteche, di librerie e di fidanzate, di suoni e di poesie. 
Può addirittura pensare di sposarsi.
E si sposa. 

Il matrimonio, volevo scrivere, però, lo affossa, intellettualmente, lo offusca. O meglio, non lo affossa intellettualmente, lo spegne emotivamente. Ne placa la lotta contro gli emissari del potere linguistico. 
Si trova da un lato colla famiglia della moglie che preme, per una cosa o per l'altra, preme, vuole far fruttare le disposizioni, gli investimenti sul patrimonio, le cose dei progetti che si sono prefissi per la figlia, sono una famiglia tradizionalista, borghese, tranquilla. Vogliono risultati, serenità. Fermezza. L'uomo pure ha sempre anelato ad una vita di pace, ma ora non sa che cosa va cercando. E sposa.  
A poco a poco inizia a ridere come i suoi famigliari acquisiti e quelli originali, ride per i quiz serali, ride per le battute di Greggio. Ride perché ridere fa bene. E ride in compagnia. E ride abbondantemente. E ride perfino di andare in campagna, nel week end, quando si arriva al casolare estivo per prendere l'aria fresca e lasciare l’inquinamento ai poveracci. Sa perfettamente che quella roba è roba che non fa ridere, sa che sta diventando uno scarafaggio; il giornale che ha iniziato a leggere ogni mattina è un prodotto editoriale che serve a far circolare alcune idee rispetto ad altre che il lettore non ha problemi a ingerire, sa tutto lui o sapeva, ma ormai quando parla coi colleghi, ripete quasi a macchinetta, a pappardella come si dice, l'articolo di tizio e caio, del suo giornale d'elezione. E' dentro la polemica. E' dentro la pancia dei rancori della polemica. E' perfettamente polemico. Meglio di così non potrebbe non essere polemico. Sente di far parte della polemica. Ed infatti è una polemica messa in piedi per loro lettori, e lui lo sa, lo sapeva. Ma da qualche tempo odia chi è dall'altra parte, della loro polemica. Nell’altra barricata. È diventato egli medesimo un barricadiero, e ne ride sopra la pancia.
Il pomeriggio, ormai, non si diverte neanche più. Si annoia, diciamolo. Non legge più tanto come prima. Delle volte va a spasso, ispessito dal malumore, intossicato dal sigaro, per i cipressi del viale, poi entra nel cimitero. E' l'unica fontanella, quella, il cimitero, che ancora gli fa correre ancora il cervello. Si lava le mani coll’acqua non potabile che le donne usano per lavarsi dopo che hanno le mani sporche di fiori, di camposanto.

Per il resto, uscito dalla evidente rappresentazione della morte fisica, al cimitero, è un encefalogramma piatto.  
Sa che si è davvero lasciato andare. Pur di star bene, si è sciolto. Non si sente come un limone spremuto. Anzi. No. E' un limone pieno, ma abbandonato sulla bancarella dell'ortofrutta, lasciato rotolare prima o poi nel cerchio della pattumiera. 
Ecco, un tipo così, che decide quasi volontariamente di non esercitare più la sua enorme intelligenza, uno che addirittura dimentica la sua enorme intelligenza, non solo nelle sue manifestazioni esteriori, in pubblico, ma anche in quelle più gelosamente interiori... un soggetto noioso, che langue, un soggetto affetto da una specie di conformismo di ritorno. 
Uno che per forza d'inerzia risponde sempre presente! quando gli chiedono se c'è, anche se sa perfettamente di non esserci mai... nemmeno per un grammo. Per un momento. 

Dall'ortofrutta poi, dopo quella battuta storta, che m'era stata carpita involontariamente per riflesso compiacente, non ho comprato niente di niente più, mi sembrava che tutta la frutta e tutta la verdura sul banco fosse andata marcia e andava buttata via... 
Ho saltato il pasto, già che c'ero. 



Commenti

  1. E' terribile finire così ... un po' mi ci rivedo ... cioé, non che sia così, ma spesso devo far finta di non avere costantemente voglia di mandare a fare in culo tutto e tutti. Perché poi un tetto sulla testa ce lo devi avere e un piatto di pasta te lo devi mangiare.
    E allora si diventa, non ipocriti, ma accondiscendenti. Da solo poi ti sfoghi in violenze immaginarie e compulsive.
    Però non bisogna mai lasciarsi completamente andare. Finché rimane qualcosa di irriducibile in noi, non siamo ancora soggetti noiosi.

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  2. Massimo, in questo metaracconto diciamo mi interessava ragionare su quello che chiamo "un soggetto affetto da una specie di conformismo di ritorno"... può esistere? credo di sì. a volte credo di sì. però direi che il conformismo è sempre lì. a buon mercato... il vecchio caro buon senso. da quando iniziamo ad essere senzienti a quando smettiamo di respirare è sempre attorno a noi.
    il conformismo poi è spaventoso in quanto è come una torta nuziale, è fatto a più piani. il conformismo del bar non è uguale a quello del salotto letterario. non c'è da salvare l'uno per impiccarne un altro. sempre conformismi sono. l'unica cosa è che quelli del bar hanno potuto scegliere meno di quelli del salotto letterario che di solito professano quel conformismo perché in malafede o per ottusità. e per lo meno quelli del bar si esprimono con una lingua che mi interessa di più.

    un caro saluto.
    ps non penso tu somigli al soggetto noioso, non mi sei mai sembrato così, a leggerti.

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  3. ovviamente uso la parola Conformismo nel modo più genericamente spregiativo, perché volendo è un concetto da sviscerare approfonditamente... se nessuno fosse conforme a nessun altro la vita sociale degli esseri umani non sarebbe possibile. e via discorrendo

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  4. Questa è una delle più belle cose che hai scritto Dinamo... ho compreso benissimo quello che vuoi dire. Quella tristezza che ti prende quando scadi, scivoli, inciampi nel compiacere la mediocrità, o meglio, l'inconsapevolezza del vivere, l'inerzia del vivere.
    Mi accade anche a me... per qualche secondo sembra quasi allettante questa cosa del compiacere, del sentirsi parte di un qualcosa, ti stabilire un'intima connessione con qualcuno, ma poi ti accorgi che invece in quel momento lì è come se ti fossi snaturato, come se fossi andato contro la tua natura.
    Poi comunque questi episodi accadono spesso al supermercato (o mercato che sia) perché sono quei luoghi non-luoghi di passaggio in cui la gente butta lì dei pensieri a casaccio e si è costretti ad annuire perché se non lo si fa sembra che si sia scostanti e, d'altra parte, non si può che annuire visto che di tempo per replicare a tono, per imbastire una discussione vera non ce n'è.

    Comunque secondo me dovresti provare ed elaborare addirittura un romanzo su un soggetto simile, intelligente, vivace, curioso ecc. che poi però si lascia andare ecc.ecc.

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  5. Molte persone rispondono alla banalità dei luoghi pubblici colla misantropia.
    Io ho passato dei mesi chiuso a casa in passato. Non era solo misantropia, certo... Ma ad essere claustrofobicamente misantropi ci si diverte poco.
    Con un po' di ironia sorniona e leggerezza, quando uno è di vena giusta, si può combattere tanta banalità... da me si dice "sai quante bocche stancano due orecchie sorde" io penso che ne stanchino più "due orecchie che parlano"... e sono anche più divertenti, le orecchie parlanti.

    Non la stessa cosa si può dire per le conversazioni politiche. Lì contano le dicerie e basta. Una parola fuori posto mette fine ad amicizia pluriennali. Qualche estate fa in una serata piacevole feci una battuta davanti a degli aquilani sulla mia paura del potere che può acquisire la protezione civile in caso di calamità naturali... c'era stato da un anno il terremoto... ne venne fuori un parapiglia assurdo, volarono i bicchieri... i litiganti ancora non si riappacificano. Colla politica non si può tanto scherzare, né si può dire tanto impunemente un parere leggermente fuori dal senso comune. Insomma, educazione, leggerezza, ironia, distacco non servono a niente. Nelle conversazioni politiche (che poi di politico non han niente) contano solo i contenuti... delle dicerie.

    Dici addirittura un romanzo? la storia di uno che preferiva Voglio una vita tranquilla di Tricarico che stona a Voglio una vita spericolata di Rossi ubriaco...
    Qualcosa potrei tirarlo fuori, non so se un intero romanzo. Sennò qualche pezzettino lo posso accorpare a quello già in lavorazione...

    ciao Biancaneve
    grazie

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    Risposte
    1. Sì, secondo me potresti tirarne fuori facilmente un romanzo.

      Senti, non c'entra apparentemente niente, ma invece sì, in questo periodo sto leggendo Piero Chiara: lo leggo e penso a te (no, tranquillo, non è una dichiarazione d'amore, a meno che non si voglia intendere amore intellettuale :-)), perché secondo me ti piacerebbe tantissimo. La maniera di scrivere, il suo sguardo sul mondo, il modo di intendere la vita: ecco, lui per dire costruisce dei romanzi su quelli che potrebbero essere semplici racconti, su spunti, osservazioni, personaggi che poi però sono persone. Prova a leggere La stanza del Vescovo e poi sappimi dire. Ha poi un amore per la parola, mai superflua, mai pretenziosa, sempre opportuna, precisa, meditata. Eppure sembra che scrivesse con una leggerezza...

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  6. l'unico mestiere degno di un uomo onesto è quello di assassinare la propria anima... o qualcosa del genere - così un famoso cugino del Petrarca

    m'approprio del post per info riguardo il precedente: ma dove si è venduto l'aureo libercolo ciclostilato ecc.; perchè ho passato un discreto tempo in spiaggia alla Cattolica, non certo immobile, e l'unico libro che mi è stato cercato di rifilare erano le poesie di Senghor...!

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  7. @ Biancaneve

    Mi hai messo curiosità, gli devo dare una scianz. A Chiara. Soppesatolo parecchie volte in libreria, e in biblioteca, non sono mai stato persuaso di portarmelo a casa mia. Dice, vabbè ma se non lo paghi, lo prendi in biblio... Mica vero. Un libro sgradito, a tenerlo in casa, mi sfascia lo spogliatoio, per usare un gergo calcistico. Infatti ne ho tanti di libri puttane che mi fanno a pezzi lo spogliatoio. Con uno spogliatoio rotto non è facile stare a casa. Avevo pensato di iscrivermi a quei siti dove uno rivende da libero privato i propri libri... io avrei fatto fuori quelli sgraditi, però poi ho riflettuto che era discriminatorio come atteggiamento. è come avere una classe e dividerli in eccellenze e insufficienze e buttare le insufficienze nel cesso...

    Tutto questo per dire che quando avrò finito le letture del mese, Chiara entrerà in un modo o nell'altro nello spogliatoio...:)


    @Esimio Anonimo
    Io ho sempre pensato che l'unico mestiere degno di un uomo fosse quello di costruire muri, sarà perché vengo da una famiglia di carpentieri e muratori e capomastri.

    Per la vendita, ho fatto l'adriatica, come dicevo a suo tempo- mi sono rimasti scatoloni e scatolielle di rimanenze. se qualcheduno gli è interessato, contattare il sottoscritto al solito numero mail.... spedizione piegolibri in giornata... pagamento anticipato.

    ma se invece sei il mio appassionato interlocutore letterario filosofico te lo regalo gratis...

    un saluto alla compagnia di sognatori che affolla questo bottega matta

    RispondiElimina

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