Storia di un dizionario dove le parole vanno inseguite


Secondo quanto sostiene il poeta andaluso Javier Bribón-Anaja nel suo lungo breviario linguistico scritto durante un soggiorno in Italia (terra che conosceva bene per avere un nonno e un'amante di origini lucane), l’italiano come lingua gli aveva sempre dato la sensazione che convenisse assecondarla, come un fiume, come una dama fatale, sicuramente metterci in mezzo il proprio corpo a mo' di un frangiflutti, ma assecondarla, per l'amor di dio. Alla lingua italiana come la vede Bribon-Anaja non si dovrebbe torcere manco un capello, oppure, se proprio si deve, conviene pochi. Forse l’italiano più che torcergli i capelli, mi viene da dire, è una lingua che è meglio fargli diventare tutti bianchi i capelli o megli’ancora brizzolati (ma su base castano nera, come i miei - e non per vantarmi ma brizzolati base chiara è uno schifo - va bene pure tingerli, o mettere il parrucchino). 
D’altronde, la questione, se questione si vuole qui porre, è tutta sulla melodia (in una veloce nota lo mette in risalto lo stesso Javier Bribòn-Anaja credo, non mi ricordo tanto bene neppure io): ovvero se c’è melodia, se c’è musica, puoi torcere, stracciare, invecchiare, imparruccare, sgorbiare e tinteggiare tutti i capelli che vuoi, il gioco riesce… il castello sta in piedi. Il problema è quando si sfascia la melodia. 

Se si sfascia melodiosamente, però, va bene lo stesso (questo lo fa notare Carlos Fuintes, un postillatore, evidentemente scaligero, del suo maestro Bribòn-Anaja - defunto a Rimini dopo una vita di vitellonate). 


Ora, abbandonando il De vulgari eloquentia del bravo Javier, sennò voi capite, la cera si consuma e la processione, come si dice?, non va annanzi, volevo dire che mi ricordo che in realtà una lingua non è solo un insieme mattonoso di parole ma è soprattutto una marea mezza matta di suoni, mistero del linguaggio diciamo, e mi ricordo che Manganelli diceva (che lo facciano santo domani a Manganelli!) che le parole era sicuro fossero dei suoni, ma che avessero pure un significato non ne era mica tanto sicuro (glielo dite voi al suo attuale curatore letterario?)…

Una cosa del genere, mo’ che mi ricordo, sta cosa dei suoni e dei significati, una volta me l’aveva fatta capire mia madre la quale studiare non aveva studiato ma le cose le doveva sapere lo stesso perché una volta che io ero piccoletto, che potevo essere alto come una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, ero molto caruccio, forse di bellezza femminile, poi mi so’ guastato crescendo… mi ricordo comunque che una volta si mise a parlare con una merciaia di fuori che aveva messo la merceria da poco qua da noi e la merciaia le disse che Pescara era una città caotica… caotica… e che voleva dire mo’ caotica? Mia madre annuiva, penso che avvertisse il significato dal suono e dal contesto dove era stato messo, allora io a fine convegno parlatorio quando la donna caotica se n’era aita o ce n'eravamo 'sciti noi, le chiesi che volesse dire ‘sta benemerita parola, caotico, mia mamma mi disse “su, caotico non lo sai?… caotico è caotico… una città caotica!... t’arcurd Pescara?” “Quando ci siamo andati?” “Eh… non era caotica?” mbè, in effetti, a pensarci, caotica era caotica. … “Pescara è caotica, che vu fa mo'… ecco perché io preferisco qua a noi che si sta un po’ più larghi”.
Ecco io direi che sarebbe bello fare un dizionario così, un dizionario a ripetere, dove le parole, almeno quelle più comuni (per chi poi? comuni a chi? come si permette?), non andrebbero spiegate ma scritte un po’ come quella figura retorica là che non mi ricordo mai come si chiama, quella che per fare l'esempio dicono “lo studente che studia”. A me mi piacerebbe aprire questi vocabolari grossi e polverosi che non si usano più ché mo’ si va su internet e si scrive la parola, non si cerca più, mo' si scrive, e allora mi piacerebbe scrivere la parola  e azionare la ricerca e cliccare sopra a “Biblioteca” e alla spiegazione c’è scritto, mi piacerebbe: La Biblioteca è… la biblioteca. La biblioteca è la biblioteca! Non ci sei andato mai, in biblioteca? Vacci. Che sti fa sempre dentr la casa? Sicuro ne trovi una nel tuo paese, esci, melone! Oppure se non la trovi nel tuo, sta nel paese affianco. Oppuramente ti informi dove sta, vai alla stazione, prendi il treno parti e impari la biblioteca. 
Non sai che cosa è la stazione? Ferm’t, non cercare niente. Non sai manco che cosa è il treno? Motivo in più per informarti su dove sta una biblioteca, andare giù alla stazione e prendere un treno… e via di seguito come Alla fiera dell’Est.
Capito insomma come piacerebbe un vocabolario a me? 

Certo è una bella soddisfazione quando si va poi alla parola stazione e la stazione non c’è e si prende la parola-treno e quella  non c’è e poi allora si entra in una biblioteca e non c’è e si cerca un libro e non c’è e si legge una parola che non c’è e si cerca soprattutto una parola che non c’è…e via di seguito come la canzone Alla fiera dell’Est che manco quella… c’è.
Che poi, scusate, non lo diceva pure Poe in un suo racconto che a forza di ripetere una parola, a forza di dirla e ridirla e tenerla sulla labbra, la parola si consuma? E si disperde e se ne va? Si consumaaaa ragazzi... Perché non fare un dizionario delle parole dimenticate? E dice: ma non è già il dizionario, nella sua sostanza prima, l’elenco delle parole dimenticate o dimenticabili? Delle parole consumate a forza di dirle? O passate di moda perché ci siamo rotti di dirle? Son dei conservatori, sti linguistici… lo diceva Poe, uno forte assai, mica uno come me.
Ma voi di compilatori di vocabolari ne conoscete qualcuno? Io devo dire che in un’altra vita, forse remota, forse revocata, mi capitò di fare un lavoraccio per una persona di cui non finirei domattina a dirne “bene” (per modo di dire), la quale persona teneva un babbo che amava scrivere enciclopedie, tuttologie, trattatelli esaustivi ecc ecc. Codesto personaggio appariva in bottega una volta tanto, mi consegnava, su assist della figlia per cui lavoravo, un tomello di voci che io dovevo correggergli le bozze… e io correggevo e quello scriveva e io ricorreggevo e quello scriveva e facevo e quello disfaceva… un continuo gonfiarsi di annotazioni e precisazioni e lima questo lima quello… oh Dinamo, ancora qua stai? mi limeresti questa "panca"? la parola... e lui giù a spiegare, spiegava tutto... La biblioteca è un edificio, un luogo dove ci sono ecc. La stazione è quel luogo dove partano i treni e ne arrivano altri… Un treno è… 
Un giorno non ce la facevo più, gli dissi ma tu che ti sei fatto vecchio a spiegare i significati delle parole, che poi non sappiamo manco se è vero che esistono sti significati, ma non l'hai capito che il bello delle parole non è il significato... come fai a spiegare i suoni delle parole che non si spiegano, manco con quelle cose delle trascrizioni linguistiche i segnetti ecc... 
I suoni, professò, non si ponno spiegare, gli dissi.... tutt'al più, se vi piace ascoltare, è bello sentire parlare alla gente dove ogni parola, anche a non saperla, la sai, dal suono... e un cattivo pensiero una cattiva parola o una bella parola, un fiore di lingua, li avverti a naso, da come uno la dice, come la mette, senza stare a leggere il vocabolario… e infatti se ci pensate il mondo è melodioso, che tutti sappiamo parlare bene, non è vero mica che uno è meglio di un altro a parlare (alla fine alla fine), che davvero si nasce imparati o si impara bene da soli, a parlare come si apre la bocca… i guai cominciano quando tocca parlare la lingua che non ci appartiene, quella dei libri, quella della scuola, quella dei banchi, quella dei giornali, dei tribunali, quella dei politici, quella della burocrazia, quella del cinema… le lingue inadeguate... ma finché parliamo la lingua che ci ha cullati e accolti dalla nascita, quella che ci abbiamo negli orecchi e negli occhi, siamo tutti bravi… non c'è cazzi.
















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