Letteratura e cinema


Romanzi (e romanzieri) messi in quarantena dentro un'incubatrice in attesa di essere clonati il prima che si può (tempi tecnici permettendo)
  Ci sono novellieri che scrivono romanzi che, gratta gratta, sono delle sceneggiature, o buchi di sceneggiatura... codesti novellatori scrivono più per farsi mungere dalle major cinematografiche che per farsi leggere. 
Credo sia un male, per tutti.   
Conosco tanti lettori che, assuefatti dall'immagine, comprano romanzi per vedere una storia da leggere, passare la serata affogati nel divano e in fin dei conti usano il libro come surrogato del film, è lo stesso approccio che ci vuole per un fiction, o per un grosso serial televisivo. 
Così come esistono scrittori e scrittori che scrivono televisivi. Seguendo cioè la fenomenologia estetica (parola grossa) che si detta in tv. 


Ha senso che viva una letteratura che può essere convertita su pellicola quattro-e-quattr'otto? 
Secondo me ha senso solo per la fabbrica culturale che ci guadagna, feudatariamente, il doppio. 
La maggior parte dei romanzieri di largo consumo americani scrivono in previsione di un rifacimento hollywoodiano.    
Attenzione, non biasimo l'osmosi letteratura-cinema, non biasimo il travaso, non sono affatto contrario alle trasposizioni di libri in film, assolutamente no. 
Sono però per dare fondo alle risorse della letteratura e alle risorse del cinema (se poi un produttore vuole fare un film da un poema e paga, cazzo, ben venga!).  
Penso che gira e rigira si finisce sempre a parlare di stile (o di negazione dello stile, o della frantumazione) e di pensiero in lingua
Potranno anche fare la riduzione filmica o l'adattamento televisivo de Il giorno della civetta di Sciascia, cosa che hanno fatto, e può pure essere che il film sia superiore al libro (non l'ho visto, comunque), ma il libro di Sciascia ha una salienza umano-letteraria, ha un valore intrinsecamente letterario di scrittura che nessun cinema né arcaico né moderno potrebbe fare un prodotto di sostituzione partendo da quella prosa. 
Libro e film ,voglio dire, rimangono due mondi che comunicano, ma figli di linguaggi diversi. 
Non sarà mai possibile cioè che uno fagociti l'altro. 


Possiamo dire la stessa cosa di famosi libri tradotti in cinema? Un libro come quelli che di solito scrive Saviano, una volta appallottato su pellicola, perché dovrebbe essere letto? 
Il dolore perfetto di Riccarelli, una volta sceneggiato, può reggere la competizione del grande o piccolo schermo? 

Oppure, mandando in autopsia i vecchi tessuti del periodo dei Cannibali, ovvero allargando il discorso, analizzando dei testi narrativi costruiti sotto una prepotente influenza cinematografica, cosa accade? Tutta la letteratura detta pulp che in Italia s'è cominciata a fare all'inizio degli anni Novanta, nella famosa collana einaudiana appunto dei Cannibali, la cui flotta di scrittori si ispira da una parte a Pulp fiction e dall'altra a Forrest Gump, che fine ha fatto? Uno come Aldo Nove che iniziò a farsi conoscere dentro quel progetto culturale, non ha dovuto a poco a poco ripiegare su posizioni più biologicamente letterarie per sopravvivere ai cannibali? e con lui i suoi sodali? 




Un caso tutto sommato buono è, invece, Andrea Camilleri. Le serie televisive che si cavano dai suoi Montalbano sono piacevoli, (sono quantomai televisive certo, ma che altro ancora dovrebbero essere? un piedino di più delle soap, in linea colla produzione Rai), ed i libri che scrive alla fine reggono la concorrenza. Così non c'è poi da stupirsi o scandalizzarsi che uno continui a leggere il Montalbano cartaceo dopo aver visto diverse puntate alla tv. 
Possiamo dire uguale di Simenon e del suo ispettore.  
Mi dispiace ma non possiamo dire la stessa cosa di Agatha Christie, che per quanto io abbia letto copiosamente e con discreto interesse, una volta vista la versione cinematografica resta poco da leggere.  


Con questo articolaccio, malmesso e farabutto, e sconclusionato avete ragione, non vorrei si pensasse che difendo una letteratura retriva o riottosa delle contaminazioni, né che mi interessi esclusivamente di una letteratura metaletteraria, autoreferenziale. Io la penso in questo come l'antico Landolfi che diceva in Rien va che non si può fare arte coll'arte, letteratura colla letteratura, musica colla musica. Penso, però, anche, che la letteratura debba conquistarsi il suo spazio d'indipendenza, la sua autonomia e lo può fare solo mettendo in gioco (gioco) la scrittura che è, banalmente, l'organo vitale della letteratura, così come una palla, una sfera o un oggetto rotante è il cuor battente del calcio, e non certo la capigliatura dei suoi calciatori, la profondità dei loro tacchetti o il colore delle magliette che corrono avanti e indietro.  
La letteratura-sceneggiatura è un po' come il Real Madrid, un pretesto calcistico per vendere gadget e camisetas blancas... 


mi scuso se sono andato giù lungo... 



















Commenti

  1. Gomorra (il film) è un bel film, fatto bene, sfiora quasi il quasi capolavoro ... forse perché c'entra molto molto poco con il ibro.
    Io ho letto molti romanzi da ragazzino, perché mi era capitato di aver visto il film.
    E ogni volta era una scoperta, perché il mondo del romanzo era in genere mille volte più ricco, anche se il film derivato era un buon film.
    Ecco, io ringrazio molti film di avermi fatto scoprire il libro. E' come se i film per me, fossero stati propedeutici alla letteratura.
    Poi ho scoperto i film d'arte ... cinema al cubo. Bergman e Tarkovskij su tutti. Un cinema autonomo, ma quanto mai letterario, pur portando il linguaggio cinema ai maggiori livelli.

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  2. Post interessante invece questo.

    Per quanto mi riguarda, le uniche trasposizioni cinematografiche che meritano sono quelle "ispirate" ai romanzi e che, in quanto tali, potrebbero aggiungere qualcosa o mettere in evidenza aspetti che nella scrittura erano stati soltanto accennati; in questo caso si tratta di una vera e propria opera di riscrittura. Penso a Blade Runner tratto dal noto romanzo di Dick (Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?) che è un'opera molto diversa, veicola proprio significati e contenuti diversi, eppure per certi versi affine alla poetica dickiana (ossia, pur stravolgendone i contenuti, ne coglie essenzialmente lo spirito principale); oppure penso ad Arancia meccanica di Kubrick, a Shining dello stesso, si tratta proprio di riscritture e trasposizioni che aggiungono molto all'opera originale, arricchendola, rendendola polisemantica.

    Gli scrittori cannibali non so che fine abbiano fatto, io ho seguito per un po' Ammaniti, che adesso appunto è divenuto uno di quei autori i cui romanzi vengono proprio scritti probabilmente pensando al cinema, ma questo almeno lui lo ha sempre sostenuto, essendo anche un appassionato di cinema e partecipando alle stesure delle sceneggiature stesse.
    "Io non ho paura" di Salvatores, tratto appunto da un suo romanzo, così come "Come Dio comanda", sono però esempi di film che aggiungono poco alla scrittura, rimanendo fedelissimi al testo; in questo caso chi ha letto ed amato il romanzo, va al cinema più per la curiosità di vedere come venga resa la storia, come se andasse ad assistere ad una sorta di sfida da parte del regista e a giudicare se è stato o meno capace di rendere bene i personaggi, le ambientazioni ecc..

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  3. Fellini diceva che letteratura e cinema dovevano essere bene separati. poi ha tratto molto lui dalla letteratura. molto... diciamo come tutti.
    il mio regista preferito è forse Fassbinder, Berlin Alexanderplatz è tratto dall'opera omonima di Döblin che non ho letto... Fassbinder ha fatto cose eccezionali con quella trama, come d'altronde ha fatto prendendo cose eccezionali spunto da filmacci di bassissima lega dopo.
    metto la mano sul fuoco che i due Berlin alexanderplatz sono diversi.

    a Bukowski, faccio parentesi, non piacque il bel film di Ferreri sulle Storie di ordinaria follia. probabilmente Bukowski voleva da Ferreri un film letterario. o ancora più crudo. c'era anche Ben Gazzarra... cazzo voleva Buk mettere il tassametro a quei fenomeni?

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    1. Letteratura e cinema in comune hanno il fatto che entrambi raccontano delle storie ed in più il cinema nasce sempre da una base scritta (il soggetto, la sceneggiatura). Il secondo però poi, per funzionare egregiamente, ossia per non tradirsi in quanto mezzo con una sua peculiare caretteristica, dovrebbe, nella realizzazione finale, fare il più possibile a meno delle parole. Forse l'unico vero cinema che sia mai esistito è quello muto, se cinema è raccontare con immagini.
      L'immagine dovrebbe veicolare tutto, le parole un di più, ma non dovrebbero mai essere necessarie. In questo senso un regista eccellente è senz'altro Malick, ma anche Lynch. Pure Herzog, Bergman.

      A me Storie di ordinaria follia è piaciuto, ho trovato che riuscisse a cogliere lo spirito di Buk.

      Fassbinder lo conosco pochissimo. Ho sempre desiderato approfondire la sua filmografia comunque, prima o poi lo farò.

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  4. In genere questi film notturni hanno senza volerlo scoperto la vera natura del cinema, che è di rendere la realtà in ideogrammi; e il suo scopo, cioè il raggiungimento utilitario della sorpresa tra finzione e necessità. (Flaiano)

    penso sia interessante (un po' fuori strada per quell'"ideogrammi": che è comunque sussumere di nuovo tutto il movimento sotto la simultaneità statica, quando io credo il cinema sia in realtà ciò che ha ucciso il quadro... o tentato) soprattutto la seconda parte

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