Quando c'è il linguaggio c'è tutto

bambino di media statura si prepara per andare a scuola mentre guarda  ipnotizzato Mattino five, o fave?
Si parlava l'altra sera amichevolmente, vicendevolmente, tra di noi al bar... dice 'sì è vero la televisione non si può tanto guarda pe' quant'è brutt... e produce pure un linguaggio povero, misero... ora, detto tra di noi, prima cosa: il linguaggio televisivo può diventare una risorsa per la gente?' questa prima domanda, gettata a sasso rompi specchio d'acqua, mi piace, dico ' ma certo, infatti si usa come risorsa se tu fai dell'arte contemporanea, della comicità... puoi adoperare il registro televisivo come risorsa... lu problema è mo' a capì chi invece usa il registro televisivo come unico linguaggio... sarà veramente così? può essere che uno tiene solo quello linguaggio lì? a me mi sembra impozzibbole'
dice 'no no no... io dico ma se noi con l'anima il corpo la lingua ci facciamo il pensiero, che il pensiero non è altro che come lo diciamo oppure perché lo diciamo allora è davvero importante comunicare tutte le cose del mondo del fuori mondo delle cose super... cioè non è che c'è bisogno di dire dire dire... basta pure dire una cosa sola, detta bene.... sempre a parlà sempre a dì... per esempio, mio cugina, che s'ha sposata un americano e mo' vive là fatto figli parenti e tutto, io so' stato è un piccolo paesolo ci sarann 300 persone, parlano un inglese scavato scavato di poche parole che io sembra Shaksp... e vivono tranquilli beati...'
'prima di tutto, bello mio, la lingua della televisione vuole che tu la parli così chi compete ti capisce... sai la storia di come è nato 'o tip tap? pe' nun fà capì al padrone! eppoi quella lingua là televisiva serve per farti accettare anche il mondo come te lo dicono loro, con pochi suoni, carte fatte, e poco poco corpo, quasi niente, come le battute di Luttazzi che è tutto bit e files e sistema nervoso centrale. Io voglio dire anche le cose che dice la televisione, per carità, mica so' Dante, però voglio dire pure cose che là non ci stanno le parole per dirle... e secondo me, anche la gente, perché la persona ha bisogno di stare in mezzo alle altre persone, mica a fà le belle statuine... tanto anche le belle statuine, scrio scrio, pure che non si muovono e non dicono, proprio per questo, parlano di brutto! e infatti ci giocano i bambini '


chissà se abbiamo convenuto su qualcosa? non è facile capirsi tra idioletti, forse è per questo che la comunicazione va arricchita, ma non di parole solo, soprattutto di qualità che tutti hanno, nel fisico, nelle labbra, sulle spalle, quelle qualità che a scuola te le massacrano ed in televisione sempre meno, sempre meno, bisognerebbe spegnarlo quell'aggeggio che ci fa scordare come si parla colla lingua e col corpo... e ci fa parlare mezzobusti... che si dovrebbero chiudere le scuole per riadibirle a circolo della stecca e del ramino non lo dico più perché mi prendono per scemo... come se si imparasse qualcosa a scuola, oltre a farsi risvegliare le gambe e il bacino dopo ore di sedia e bancaccio... almeno servisse da allenamento per imparare a giocare a pallone, macché.






A proposito di corpi, Antonio Rezza su allestimenti di Flavia Mastrella:

Commenti

  1. Tutto è sempre in comunicazione. Per quel che serve.
    Io non credo che i limiti del linguaggio siano i limiti del nostro mondo, come dice Wittgenstein ... oltre c'è qualcosa, che pure viviamo, e che non può mai essere detto, o scritto, o parlato, forse qualche volta danzato e suonato, ma neanche completamente.

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  2. Massimo, metti proprio la lama nella piaga... io sono parecchi anni che mi interrogo sullo stesso rovellaccio. Che ti devo dire? io la penso sempre di più come Wittgenstein, anzi credo proprio che stiano così le cose. Delle volte rimango fulminato di fronte a delle riflessioni, a delle metafore, a delle invenzioni... nella loro semplicità non capisco se illuminano un altro spigolo della stessa sostanza, oppure INVENTANO proprio quell'angolatura del discorso. non so se riesco a farmi capire.
    comunque, penso anche io che non si può andare al di là dei limiti storici del linguaggio in un continuum evolutivo.
    quello che sfugge al nostro mondo di segni, è evidente che esiste, hai ragione, ma non per noi, esiste come esiste il nulla, secondo me, che però credo possa essere in parte intravisto, e in quello istante non è più parte del nulla, è stato risucchiato dal cumulo dei nostri significanti/significati, è roba umana (fantozziana). io penso che il nulla sia quella massa informe che aspetta d'essere covata dal linguaggio nelle sue varie forme, ma in realtà non aspetta niente... e non è... ecco non è.
    non ingrippiamoci da soli...

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  3. Forse, come ha ben scritto Massimo parlando di là de La Doppia Vita di Veronica, solo l'arte è capace di veicolare qualcosa oltre i limiti del linguaggio.
    Poi certo, anche l'arte ha i suoi codici, le sue forme, forme che, per quanto inizialmente innovative e rottura di codici e provocazione e distruzione del già noto, finiscono sempre però poi per venire assorbite dal sistema imperante ed omologante.
    E però nello slancio iniziale dell'arte, nell'impulso creativo, c'è sempre rottura e quindi altro dai limiti imposti di qualsiasi linguaggio per veicolare.

    L'arte surreale, per dire, va oltre il linguaggio (e allora penso al cinema di Bunuel).

    E comunque ogni discussione nata sui limiti della comunicazione è sempre un paradosso. :-D

    Avrei da approfondire, ma vado di fretta, semmai aggiungo dopo.

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  4. Sì, il discorso è complicatuccio ... da un certo punto di vista ha ragione Wittgenstein ... dall'altro, così come la vede lui, tutto sarebbe sempre e solo tautologia. E mi sembra che nel Tractatus l'abbia proprio detto.
    Quindi alla fine il discorso è sempre lo stesso ... o dobbiamo ancora espanderci (se è possibile, naturalmente) oppure "il senso del mondo giace fuori dal mondo stesso".
    Ti dirò che, essendo tendenzialmente contro i misticismi da quattro soldi, quest'ultima ipotesi non mi sconfinfera troppo ...
    ma il mistero rimane.
    Sempre livelli alti Dinamo ... altro che Lit blog ...

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    1. Ma se noi facciamo parte del mondo, come possiamo comprendere un eventuale senso che giace fuori.
      E' un paradosso.
      Può il bullone di una ruota comprendere la struttura della macchina stessa e capire dove sta andando? Secondo me no.

      Oppure ci si può illudere di sì e, come dice, W. Allen, "basta che funzioni". :-D

      Nasce prima il pensiero o il linguaggio?
      Non vuole essere una domanda oziosa.
      Vi leggo stasera, ora mi tocca andare alle poste (pensa te!).

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    2. Alla fine della prima frase "Ma se noi..." c'è il punto interrogativo, ovviamente (no, è che mi era rimasto in tasca).

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  5. @ Biancaneve

    E infatti non si può comprendere il senso del mondo. Wittgenstein diceva: di ciò che non sappiamo non possiamo parlare, o qualcosa del genere. In realtà non facciamo altro che parlare di quello che non sappiamo. E' normale, dato che non sappiamo praticamente nulla.

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    1. Ne parliamo perché speriamo che prima o poi, continuando a parlarne, qualcosa ne esca fuori. :-D

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  6. Massimo, Wittgenstein, da un certo punto in poi, smise di riconoscersi nella sua pur rispettabilissima produzione scientidìfica. Forse perhé a Cambridge incontrò lo scettico Sraffa, che lo canzonò facendogli il gesto dell'ombrello, sfidandolo a ridurlo a linguaggio. Non sono uno specialista, ma dai miei vaghi ricordi del libri colorati (marrone e blu, le lezioni di Cambridge trascritte dagli stessi studenti dei corsi di W) posso testimoniare che il Wittgenstein del trattato, filosofo vagamente neokantiano, è un nano rispetto a quello successivo, sulle orme di Nietzsche, e anche oltre.

    Comunque, Dinamo, con il linguaggio e 'n par de scarpe nòve, se po' girà tutto er monno! Con il pensiero senza linguaggio, Biancaneve, si va da poche parti. Allora meglio andare solo con le scarpe Nòve...

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    1. Ma io andrei pure senza scarpe, completamente nuda (in senso metaforico, s'intende) :-D

      Sai cosa, uno si veste, si veste, di parole e tutto e poi dopo un po' questi rami pieni di frutti cominciano a pesare, cominciano ad oscillare, comincia ad intravedersi il marcio, coi vermetti e tutto ed allora arriva un certo momento che è meglio sfrondare, cominciare a sfrondare e farsi nuovamente nudi.

      Tanto è impossibile, come diceva quell'altro, quel signore di Dublino, comunicare il proprio "io", siamo irrimediabilmente soli.

      Sull'impossibilità di comunicare le proprie emozioni ricordo anche un bellissimo saggio, Lettera a Lord Chandos di Hofmannsthal e c'era un pezzo bellissimo, ma accidenti, non ce l'ho sotto mano altrimenti lo trascriverei. Quando lo trovo te lo posto sul tuo blog.

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  7. @ Larry

    E infatti Wittgenstein dopo il Tractatus, praticamente non fece altro che cercare di demolire il Tractatus stesso ...
    Diciamo dunque che non mi trovo tanto d'accordo con il "primo" W.
    Il secondo si avvia sugli erti sentieri del quasi-mistico ...
    Ma di W. fondamentalmente, colpisce più (almeno, a me) la vita che ha fatto. Il modo in cui ha vissuto ed è morto. Un pazzo, un santo, un genio ... boh.
    Molto cinematografico, comunque.
    Bello anche l'aneddoto nel quale Popper riesce a zittire un W. in preda all'isteria ... non ricordo bene, devo andare a guardare ...
    Comunque alla fine ... gajardo W.!

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  8. Gajardo in senso romanesco ... nessuna allusione ai gusti sessuali del Nostro.

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  9. Comunque, per rispondere a Biancaneve ... prima del pensiero e del linguaggio, nasce L'EMOZIONE ... è dall'emozione che nasce il farfugliamento animale, che poi diventa progressivamente elaborato. Dal senso di paura o piacere o sconcerto o curiosità, e dal tentativo di evitare o riavere determinate emozioni (sensazioni) nasce il linguaggio, certo, molto primitivo. Credo che solo con il tempo nasca il pensiero articolato e il linguaggio è anzi, l'ampliarsi stesso del pensiero.
    Filologicamente, la maggior parte delle parole che conosciamo hanno, come radice un elemento basico, la terra, il vento, l'acqua, le piante ...
    Prendiamo la parola "mente" ... la radice mens latina deriva da un termine sanscrito che significa Luna. La prima misura umana è stata il ciclo lunare. L'uomo ha definito il suo processo interiore, la mente, come quella cosa che MISURA, DISTINGUE (maiuscolo perché non so mettere il corsivo). E cos'è la prima cosa che l'uomo ha imparato a MISURARE? Il ciclo lunare.
    In ogni caso prima c'è l'emozione, psicofisiologica. Poi il linguaggio e il pensiero si evolvono insieme ... più o meno.
    Céline aveva capito la priorità dell'emozione nel linguaggio, prima dei neurolinguisti ...

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    1. Grazie Massimo per questa bella risposta articolata; non conoscevo l'origine della parola mens, non sapevo venisse dal sanscrito.

      Però che strano che poi oggi ci resti così difficile comunicare le emozioni... anzi no, mi sono espressa male, per comunicarle le comunichiamo eccome (basta un urlo, un pianto, una risata), quel che troviamo difficile semmai è descriverle, descriverle proprio nella loro essenza.

      Una cosa che mi affascina assai è che, per quanto io e te diciamo "casa", la mia immagine mentale di "casa" sarà diversa dalla tua perché a me la parola rimanda a quella prima volta che l'ho sentita (con tutto il carico emotivo del ricordo, anche se rimosso, di quel preciso momento), a te rimanda ad altro.
      Mi domando allora se esisterà mai per qualcuno un qualcosa che avendo lo stesso nome venga inteso nella stessa esatta maniera.

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  10. ma sta emozione, coi mezzi umani a disposizione, sarà comunicabile, Massimo? secondo me, no. almeno non integralmente, o non quanto e come vorremmo. resta però, ovviamente, tutto il lavoro gravoso ed eroico di chi ci prova a far sembrar vivo ciò che per sua natura è morto: la pagina del libro.

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