La mia cantina
Un tempo, da giovanissimo, facevo più vita mondana di adesso e conoscevo ogni giorno delle persone nuove, nonostante la vita di provincia. Alcune le disprezzavo poco dopo avergli stretto la mano – era più forte di me. Né mi riusciva di nasconderlo, come non mi riesce oggi. Anzi, a questi prima o poi riservavo sempre dei dispettucci, pesanti o meno in base alla loro boria; a chi stimavo a prima vista, invece, non mi avvicinavo affatto, contravvenendo in toto a quel motto sentito mille volte in famiglia per cui "stai coi meglio di te e passagli le spese" (col cazzo!)... "chi vanno cogli zoppi..." (ma a me di zoppicare, nella vita, è sempre piaciuto...).
E via di questo passo.
Uno che disprezzai abbastanza presto fu un commerciante del corso, calvo, con una grande pancia e un'aria di sporcaccione; veniva spesso a giocare al biliardo nella sala dove stavamo noi ragazzacci o a bere il caffè, visto che il suo negozio era a quattro passi dal nostro bar, ma soprattutto lo conoscevo perché era sulla bocca di tutti come grande venditore (e grande mascalzone coi clienti). Vendeva scarpe o oggetti di uso insolito tipo borse piccole come portafogli o portafogli grandi come borse, per le donne. Secondo dove batteva la moda. Era un tipo molto frettoloso e non voleva perdere tempo dietro ai clienti più petulanti ai quali non nascondeva mai il suo disappunto arrivando perfino a imprecare o bestemmiare. La gente lo diceva che non ci sapeva fare, ma apprezzavano tutti la sua merce e c'aveva il negozio sempre pieno.
Io se mi ci metto sono un vero asino con le persone, e lui l'avevo occhialato già da un pezzo. Non potevo proprio soffrire l'aria di sfida che buttava nell'aria al suo passaggio. Un giorno ci andai proprio armato di malizia al suo negozio... mò vedi, mi dicevo, che gli combino a questo signorino.
Mi presentai con tutti i riguardi, dando a vedere che ero intenzionato a fare più e più acquisti ma mi mostrai a poco a poco sempre più incontentabile. Gioca che ti gioca, arrivai a fargli lo sfregio di fargli cacciare e rimettere cinque sei scatoloni dal magazzino con i relativi viaggi sopra e sotto il negozio. Così, per dispetto.
Dentro di sé, con tutti quegli andirivieni, vedevo che avvampava. Dai suoi occhi riuscivo a leggere tutti i puzzi (che c' puzz' armane... che c' puzz' crepà ecc) che mi mandava, più le madonne che schiodava dal cielo. Alla fine decisi che gli avrei fatto la malagrazia di non comprargli niente. Fu un lampo, un’illuminazione. E così feci. Non era la prima volta, d'altronde: l'avevo fatto anche in una boutique di Teramo corso, centralissima, con le vetrine a luce soffusa... anche se in quel caso per scarsità di quattrini. Dopo due ore di si provi questo si provi quest'altro, coi commessi che mi venivano da dietro per infilarmi dentro a giacche, cappotti, paltò, giubbini, manco fossi un principe alla vestizione, non comprai niente - nemmeno quel giubbotto color crema, straordinario, svedese, impermeabile che mi fecero indossare per primo (costava troppo). Pure il proprietario di quella boutique non nascose di aver perso le staffe col sottoscritto, fino ad arrivare ad un'amara vendetta agitando tra indice e pollice il mio vecchio cappotto sdrucito lasciato su una sedia come a dire vai in giro con questa merda e fai il difficile qua da me. Ma vattene campesino.
Al commerciante di scarpe, dopo tutto quel dai e dai, gli dissi guarda non prendo niente, queste scarpe non mi convincono. Ci rimase di un male che me ne feci un nemico per la vita. Disse un porco dio ‘sto stronzo che sentii colla coda delle orecchie quando me ne uscii. Ma feci finta di non aver sentito nulla e tirai avanti, ridendoci per un bel pezzo.
Dopo qualche tempo, divenni un uomo; grande e maturo (pure alto). Fu come sbocciare dentro un vaso filosofico. Avevo viaggiato per il mondo, disconosciuto tanti luoghi, persone. Al mio ritorno in provincia ero più capace di discernere il vero. Avevo capito in quegli anni lontano che era il commercio, i piccoli commercianti a non andarmi a genio... i loro larghi sorrisi, l'accoglienza, il bon ton da aziendina famigliare guardi qui guardi lì, che carina questa borsa come le sta bene ha visto… Io non voglio vedere niente.
Un disprezzo verso i piccoli commercianti si impadronì di me e ne trassi le conseguenze. Questi erano i peggiori personaggi che si potessero incontrare nella propria strada.
Da allora iniziai a prediligere i grandi magazzini dove a servirti sono i dipendenti scocciati o gli acquisti online, la grande industria, la grandiosa distribuzione... no i venditori di cacatelle del corso, le bottegole tirate a lucido... le belle maniere... la lusinga. Salvo rari casi, li trovavo e li trovo tutti detestabilissimi. Decisi perciò di creare tra me e i piccoli commercianti e la loro educazione commerciale la più grande distanza possibile.
Infine, ultimo atto, decretai che il commerciante di scarpe, colla sua bruschità, la sua maleducazione le sue madonne contro chi lo faceva andare al magazzino per un misero paro di scarpe, la sua burbanza quasi felina, lui era un grande eroe controcorrente, indifferente, pronto a far battaglia per non vanificare il suo tempo dietro lo spicciolo commercio... andava immediatamente riabilitato e per qualche moto spontaneo anche un po' stimato (d’altronde era anche un grande giocatore di carambola).
Ogni tanto torno nel suo negozio. Prometto mari e monti. Non compro quasi mai niente. Lui va su tutte le furie. Io lo stimo molto. Così, le volte che compro qualcosa, non chiedo mai indietro il resto come estremo atto di signorilità e riconoscenza. Lui negli anni ha capito qualcosa di me e volente o nolente sta al gioco, accettandomi finalmente per il cliente che sono... sennò, va bene tutto, ma che commerciante sarebbe?