Jerry Calà e altri infingimenti



Di Calogero Calà, in arte Jerry, serbo un ricordo, anzi due.
Il primo è quello di Jarry Calà attore, sapore di mare, sapore di te, libidine, ma anche il Jerry Calà che Ferreri, Marco Ferreri, prese dal fondo degli anni Ottanta per recitare il penultimo suo film, Diario di un vizio, e che in un'intervista definì un faccia di maramaldo. 
Il secondo ricordo è più diretto e riguarda quando lo intervistai telefonicamente, perché faceva l'anniversario un noto locale di Cortina d'Ampezzo, il Vip forse, e lui ne era uno storico testimonial (ci aveva fatto il pianobar, il film...). 
L'intervista non me la ricordo ma mi ricordo che gli rivolsi delle domande su Ferreri e il film succitato, trascrissi tutto come un sismografo e scrissi a valanga il pezzo, mettendoci dentro molto di Ferreri (più il mio forse che quello di Calà). Il direttore mi chiamò mi disse oh, ma che cazzo hai scritto. Ma va a ffanculo tu e Ferreri va... e mi ricordo che sul momento mi parve come un bellissimo augurio essere abbraccettato a un così grande artista per quella scervellata via. 
E lo penso ancora.
  
Ci sarebbe un altro ricordo, che mi sovviene solo ora. Era estate, leggevo con grande lentezza e pena il libro campione del Premio Strega, Storia della mia gente. Nesi. 
In un certo punto l'autore parla di Jerry Calà. Dice che Calà, il quale per altro apriva e chiudeva molte serate forziste negli anni del ventennio e oltre, Calà quando al Forte dei Marmi faceva il pezzo dei Nomadi, Io vagabondo (no vaga Bondi), invece di finire "ma lassù m'è rimasto Dio" finiva "ma lassù m'è rimasto Silvio". E Nesi mi ricordo che la scriveva questa cosa con dentro del disappunto. Nesi. Anche perché lui al Forte negli anni Ottanta Jerry Calà non ce l'aveva mai visto, lui che c'aveva diritto di nascista di stare al Forte mentre Calà no, e ora doveva sopportarlo che ci faceva incetta di successo. 
Chiusi il libro dentro una pozza nella sabbia e andai a farmi il bagno nello sporco mare adriatico, dove sono nato io. 



Chiudo con una nota per così dire privata e marginale (come d'altronde tutto il resto). 
Delle volte rifletto sui comici, e gli attori e le persone dello spettacolo. Penso ma come vivono? e non mi do pace. 
Naturalmente i miei pensieri preferiti vanno agli attori che non stanno più sulla vetta ma che gli spettatori hanno da tempo scaricato nella riserva dei vecchi arnesi, dei giocattoli abbandonati, nella discarica dello show business. Quando penso a loro ci aggiungo la domanda: dove li pigliano i soldi?
Ogni tanto Barbara D'Urso, il pomeriggio o la domenica, ne chiama uno da quel luogo e lo porta in studio. Lo fa sedere, lei che ride come una raganella, e poi si rifà seria, cogli occhioni attenti attenti e compassionevoli. In quel quarto d'ora noi avvertiamo il baratro, qualunque esso sia e significhi. E' qualcosa che non si può spiegare, è come raccontare un sogno. 
Io a Barbara D'Urso un po' le voglio bene per questo servizio di riportare sullo schermo delle anime alla deriva; ma un po' la odio, perché visto quel baratro io non posso immaginare nient'altro che quello specifico baratro, mentre io vorrei sempre immaginare altri baratri... altri specifici. 
Un po' odiai pure Sorrentino quando con il poeticissimo L'uomo in più incise sulla pellicola proprio questo, l'uomo di successo che casca e non lo fanno rialzare, addirittura mettendone in scena due, di uomini di successo che cascano e non non si possono rialzare, il cantante e il calciatore. I due Pisapia. 
E ora quando penso a quelli del baratro, devo fare una fatica immaginativa incredibile a pensarli diversamente da quel Pisapia che si pippa l'inverosimile a casa, da solo, o che canta in un paesino montagnoso dell'avellinese davanti a una decina di persone annoiate, per finire poi a cenare in un ristorante che non serve pesce, ed è costretto ad ordinarne uno di fiume, una trota mi pare; mentre l'altro Pisapia, il calciatore, si spara vicino all'aeroporto dove decollano gli aerei di chi ha ancora un aereo da prendere (o da perdere). Ma poi l'altro Pisapia, il calciatore, spara al suo antagonista, il presidente che non vuole fargli fare l'allenatore, lo vendica e va in galera. Tutto contento di tornare in mezzo al consesso umano, aggradandolo con prelibate cucine di mare...

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