Murales&murales



Mi piacciono le città impiegatizie, quelle capoluogo di regione o sede della provincia, quelle  dove lavorano tutti collo Stato e le amministrazioni pubbliche. Lo so, sono quasi tutti piazzati lì da questo e quel potentato politico, sono feudi di voti e via dicorrendo. Lo so bene, ma mi piacciono lo stesso. Mi piacciono le loro vecchie maglie di lana rossa e verde e gialla, i banchi pieni di polvere e forfora, i capelli tagliati male che sembrano accorciati colle forbici del pesce, i  vecchi telefoni della sip, il loro passo calmo tantocètempo, la flemma italica, mi piacciono anche le cabine telefoniche sbiadite e gli uffici scrostati, le sedie rotte delle scuole, gli stracci per il pavimento, il gialletto romano. Mi piacciono i comuni zozzoni, che non si finisce mai di pulirli, e lucidarli, so' sempre zozzi, mi piace la sporcizia delle città, perché è bella, c'è vita dentro ci sta la mattaria della gente, invece nei detersivi tanta vita non ce la vedo e manco la pazzia ci vedo, infatti pure Sciascia della pulitissima Svizzera lo diceva, che erano troppo poco pazzi... Mi piace il degrado statalista, la stagnazione temporale. Lo so, faccio pena e compassione.
Mi piacciono tantissimo anche le città industriali, perché non mi dovrebbero piacere? Mi piacciono le fabbriche, le zone industriali, le conche industriali (queste so' le cose che mi piacciono di più in assoluto, anzi ciò che mi piace di più in assoluto è  chi ci lavora), ma non mi dispiacciono nemmeno i centri commerciali che si vedono da sopra i ponti delle autostrade… L’avete capito, mi piace un po’ tutto. Ma ci sono pure cose che non mi piacciono, ci mancherebbe, (che ci facciamo andare bene tutto?), per esempio non posso vedere, ché mi stanno troppo sul cazzo, le città-stato, le città-museo, i monumenti,  le mostre itineranti, i presepi viventi, il Colosseo, il corso, le strade chic, le epigrafi

A proposito di queste, sto decidendo da che parte stare. E vado a spiegarmi.
Se volete, possiamo dividere la letteratura muraria, cioè sui muri, in due categorie: la letteratura ufficiale, autorizzata, patriottica e cavalleresca degli epitaffi su targhe commemorative che principiano “qui visse il tal de tali” “il municipio e la comunità alla memoria dei caduti questa pietra posero” e poi le poesie sull’Italia e il sacrificio nazionale che sono le poesie più brutte della storia della poesia… L’altra categoria sono le scritte sui muri, la lirica dal basso, le frasi ad effetto fatte colle bombolette, oppure i murales. E’ una letteratura più clandestina, stipata, anarcoide, alle volte frutto del genio sgrammaticato di qualcuno, altre volte segnacoli di slogan extraparlamentari o ambivalenti quanto affascinanti messaggi teologici, altre ancora preziosi calembour.

Mi sto convincendo che sto dalla parte di quei poveretti che la mattina presto gli ordinano di andare  a cancellare le scritte ritenute offensive o oltraggiose ripassandoci grandi pennellate di vernice sopra. Mi piace stare con loro. Mi sembra troppo facile scegliere di stare con la letteratura ufficiale oppure con quella clandestina. Bisogna fare cose più difficili, a volte. E gli smacchiatori o i finti cancellatori sono, diciamo, più simpatici, più profondi, più difficili.
Alcuni, quando vedono che la scritta è forte, è giusta, si adeguano, magari miscelando male a bella posta la vernice così che quando gli passano sopra la leccata di malta il distico clandestino si legge lo stesso (ma dopo due giorni e sotto la vernice comunale). 

Secondo me, per dire, uno come Kafka, era così che scriveva. Una scrittura calma, piana, precisa, corretta ma...  trasparente come la vernice tagliata male apposta degli operai del comune. La trasparenza minuziosa che cela dietro un grido allucinante. Un ruggito di disperazione e poesia che non si vorrebbe ascoltare. Una cosa lacerante. Ma anche comica, fredda, oggettiva, subita.
Non so, lo vedo così Kafka. E come si fa a non stare con Kafka?

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