Il doppiatore d'artisti
Il mio discorso sulla fumisteria fu molto lungo e
fumoso, altresì venne applaudito a frotte e riscosse l’unanime consenso della
sala. A fine conferenza, fu offerto un cocktail in mio onore, dove fui
ovviamente invitato e lucidato di omaggi. La cerimonia, diversamente da come
racconta questa congerie di cose Thomas Bernhard nel suo libro I miei
premi, fu piacevolissima, ed io mi beai di stare in una sala dove mi
si trattava da grande artista e dove finalmente veniva riconosciuto il mio
valore anche nel vischioso campo degli scopritori di talenti.
In realtà non sono mai chi sembro. Vado alle
premiazioni perché mi pagano per vincere e questo è in realtà il mio lavoro,
vincere. Il mio lavoro è fare lo stuntman degli artisti vincenti (a volte anche
perdenti, dipende) che si vergognano o non hanno voglia di presenziare ai
premi. La maggior parte dei premi li vinco io, ma voi non ve ne accorgete. Sono
un trasformista. So stare perfettamente al mio posto, parlo poco, dialogo
tantissimo lasciando ai miei interlocutori la parola, i miei colloqui sono
fitti di silenzi.
Gli artisti sono vanesi, e pur non facendo niente
dalla mattina alla sera, se capita una tantum di vincere un premio, quelli
ricchi preferiscono disertare personalmente, mandano allora delle controfigure,
e dei controfiguri come nel mio caso. Siamo gente che ci
sappiamo truccare, mimetizzare, siamo dei camaleonti, dei ventriloqui, degli
imitatori.
Io prima di andare in questi raduni leggo dei libri,
e costruisco su quelli tutti i miei discorsi, studio qualche giorno il
personaggio da interpretare nel gran mondo degli artisti. Faccio professione di
umiltà se il tipo che impersono mostra di esserlo, sennò sono spavaldo e
irriguardoso.
Di solito solo i giornalisti ci fanno domande,
perché sono gli unici imbecilli che non hanno capito che a ritirare i premi
sono solo le controfigure. Tutti gli altri, i secondi terzi quarti
classificati, i finalisti e i critici (pure loro l’hanno capito!) e i giurati,
sanno che siamo degli impostori, siamo degli uomini di plastilina e ci ignorano
come esseri posticci. Giustamente. Ci sanno anche perché sono ricorsi a noi, o
hanno sentito di chi ha ricorso a noi, oppure anelano a ricorrerci. Ci si
conosce tutti, fondamentalmente, nell'ambiente. Ci si aiuta.
Io questa professione, abbastanza remunerativa
quando riesci a infilare due tre premi, pure se a provvigione, la ho ereditata
da mio padre. Si tratta di un’eredità toccata da nobiltà, in quanto ridendo e
scherzando fu addirittura Tommaso Landolfi, noto disertore di premi letterari e
denigratore di pubblico e incontri ecc, a suggerire durante una strana serata
al casinò a mio padre, incallito giocatore di roulette, di intraprendere la
carriera di doppiatore di artisti.
Debbo dire che Tommaso Landolfi non ne ebbe mai
bisogno, perché non ci andava proprio, presentazioni non ne faceva, vita
mondana nemmeno, vita letteraria nemmanco ai tempi degli ermetici, quindi mio
padre non lo impersonò mai.
Impersonò però Moravia, Pasolini, Calvino fino
all’ultimo, Parise, anche Gadda in un evento pubblico (millanta di aver
impersonato una volta addirittura James Joyce – c’è una foto con lui da qualche
parte – ma io non ci credo ché papà era uno che diceva le buscie a colori, come
si dice…). Landolfi però gli aveva conosciuto davvero nel volto una buona
propensione alla truffa, al bluff e alla fellonia mimica, per cui gli diede
quel consiglio senza nemmeno starci lì troppo a elucubrare. Non si interessò
mai della sua carriera. Non seppe addirittura mai che la sua carriera era stata
avviata e da una sua idea.
In quel tempo mio padre era un cinquantenne che
viveva alla giornata barcamenandosi svevianamente tra una impresa commerciale
ed un’altra: tutte in perdita e fallite.
A cinquant’anni quell’uomo attuò il suo programma di
sposare una fanciulla e impregnarla. Da questo impregnamento nacqui io. Mio
padre non amava aver figli prima dei cinquant’anni perché li riteneva
fastidiosi per la sua crescita d’artista della vita. Ma dopo i cinquant’anni
sarebbe stato increscioso non avere messo al mondo prole, primo perché chi
sarebbe stato il bastone della sua vecchiaia? due perché diventare padri era
un’esperienza che voleva fare. Terzo perché tanto gli rimaneva poco da vivere,
quindi la vita non gliel’avrebbe di certo rovinata un figlio egoista e drogato.
In effetti non morì centenario, ma nemmeno qualche
anno dopo. Mi indottrinò sulla bellissima professione del bluffatore e da quel
momento, cioè da quando egli è andato in pensione, sono io che ho rilevato i
suoi contatti. Purtroppo oggi c’è molto protagonismo in giro, esibizionismo,
mania d’apparire, narcisismo… e me la cavo non benissimo. Gente come Landolfi
che ostracizzava le apparizioni pubbliche, o come Luzi o Montale che erano parchi
nelle libere uscite ce ne sono pochi. Debbo bazzicare campi impervi. Ogni
tanto, riduco la mia tariffa ad un compenso inferiore a quello della baby
sitter, così lo scrittore è incentivato a preferirmi e risparmiare sulla baby
sitter: c’è molta concorrenza trasversale. Con questo metodo, accalappiai prima
della sua morte il romanziere cileno Roberto Bolano che mi lasciò pure la
mancia però... e ci mancherebbe altro, per diventare magro come lui dovetti
digiunare sei mesi. Dovetti poi ringrassare per fare Vila-Matas... ma non mi
lamento, quando si lavora va bene tutto.
Quest’anno per esempio ho cercato in tutti i modi di
apparire al posto di Emanuele Trevi, ma quello è stato irremovibile,
probabilmente c’ha una baby sitter che paga quattro lire… vabbè che manco ha
vinto… delle volte conta pure quello, per noi.
Commenti
Posta un commento