La caduta della casa dei Landolfi


Dalle ultime pagine de La biere du pecheur, di Tommaso Landolfi:
Ultimo forse rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale, io sto da solo in questa casa crollata più che per metà, e che seguita a crollare un poco ogni giorno, in cui il vento si insinua gemendo, sufolando, facendo garrire le pendule tappezzerie. Ormai, pel volger dei tempi, povero in canna, mi scaldo la minestra da me, poi posseggio infaticabilmente nelle sale vuote, più sovente in cucina a causa del freddo; e tutto pur di non lavorare, che sarebbe cosa vergognosa, ma in specie direi pur di non vivere. Questo paese è d'altronde, secondo un astrologo direbbe, il regno di Nettuno. Assai spesso qualche suo figlio, se appena pieghi l'arco della vita, si ritira rubesto ancora dalla professione, dall'impiego, che so io, e si rintana qui per dare sfogo alla sua unica passione: non vivere. Così lo stagno sempre più si allarga e pigramente invade sempre più coscienze.
Oggi pioveva forte e insistente, non solo fuori, ma dentro da molte parti. Pioveva per la scala a chiocciola, dalla volta sotto la scala esterna, in alcune stanze; sulle pareti si espandevano grandi macchie, altre sulle tele delle soffitte, acqua grondava lungo il filo delle pareti, s'infiltrava di sotto e di tra le imposte. E penetrava fino a me sguazzante il grande scroscio, il rombo delle piene. Questa pioggia non era purificante, era corrompente; non scioglieva i pensieri, li inzuppava e appesantiva. Essa macerava fin nel midollo, scommetteva pietra per pietra quanto resta di questa vecchia casa. La quale un giorno non lontano si fenderà a mezzo e lentamente rovinerà seppellendo il suo solitario abitatore; e di tra la fenditura si sarà mostrata una luna rossa; insomma, come della casa di Roderigo Usher. Ebbene? Non è bello che io muoia con lei, o lei con me?  

Ma per la verità, Landolfi è morto, nel '79, e la sua casa non è morta con lui. Non so che fine abbia fatto la giovane (rispetto a lui) mogliera, ma so che la figlia Idolina (la Minor dei diari) è diventata scrittrice pure lei e giornalista, ed ha curato tutte le riedizioni dei libri del padre, spegnendosi molto prematuramente in uno di questi ultimi anni. Il figlio (il Minimus dei diari), dicono quelli di Pico Farnese (paese natale di Landolfi), non si fa vedere... il palazzo avito dei Landolfi, quindi, va al diroccamento, incustodito, perdendo peso e pezzi, bucandosi e sboccando all'esterno, schiattando un giorno alla volta... è, in sostanza, una suggestione romantica che si concreta, un bijou per gli occhi mortali del suo antico abitatore che, sono sicuro, davanti all'odierna decadenza, avrebbe gioito... 

Quest'estate, il giornale radical chic La Repubblica (di cui mai si parlerà male abbastanza) ha pubblicato, e sta pubblicando penso, una rubrica del noto cronista itinerante Paolo Rumiz. Rumiz è andato, tra gli altri, come si vedrà a breve, a mangiar maccheroni in Pico Farnese, alla ricerca della dimora dei Landolfi, e dello stato di conservazione della sua memoria. Do subito i link così ci togliamo il dente: articolovideofoto...    

Ora, io lo dico sempre che fare le pulci ai giornalisti è la cosa più facile del mondo, l'ho detto anche a Giulio Mozzi che ha questo hobby... vabbè. 
Oggi spulcio pure io un po', perché credo che quando si parla di autori di questa portata bisogna avere un minimo di cognizione filologica, altrimenti ci si attiene a tessere le lodi della cucina del posto. 
Rumiz cita un passo di Racconto d'autunno (la citazione si trova nel link-articolo sopra) credendo di rintracciare nella casa maledetta e stregata di quel romanzo landolfiano dei fischi di richiamo alla dimora cascante dell'autore... ma Racconto d'autunno mal si caglia al fatto suo, signor Rumiz... questo romanzo è soprattutto una storia gotica, magica, cucita ad un incipit reale, la condizione di fuggiasco dell'autore braccato dal regime... la casa di Racconto d'autunno  è abitata da un losco anziano nobile e dalla diafana figlia, segregata e seviziata perché in tutto somigliante alla madre morta afflitta da esoterismo, la storia, il palazzo, i rapporti sono tutti afflitti da esoterismo. 
La casa, in questo caso, è l'impalcatura narrativa, l'habitat di un racconto di saturazione romantica che si colloca sullo sfondo della seconda guerra mondiale, nella randagità ansiosa del suo autore che fuggiva le pallottole e le rappresaglie nazi-fasciste... E' un'altra casa, è un'altra cosa, è il rifugio del bandito, è il palcoscenico d'uno spettacolo psicologico e misterioso come nella tradizione tardo-romantica. E' il "castello" incantato, trafitto da mille passaggi segreti, da mille segreti... 

Se Rumiz avesse letto davvero "i suoi libri" come dice, avrebbe riportato il passo che ho riportato io ad inizio articolo, perché quello è il punto dove Landolfi è più vicino al pezzo, giacché di manieri sperduti, nervosi, decadenti, attrattivi è piena tutta la sua produzione, dall'inizio alla fine. E' nel pezzo che riporto che Landolfi  pre-sente, preconizza una caduta comune, un oblio, un diroccamento suo e del suo fortino, come poi in realtà è stato, poiché Landolfi, già in vita, così isolato e impenetrabile, ma soprattutto post-mortem, è stato un autore a lungo scordato, abbandonato... è stato prima Rizzoli con edizioni a spanne, poi Adelphi colla ripubblicazione completa, supervisionata dalla figlia, a ridargli lustro e visibilità...  
L'autore di Pico Farnese poi trasaliva ad essere appuntato come ciociaro, giacché Pico Farnese fu inglobata dalla provincia di Frosinone per inspiegabile disposizione governativa durante il ventennio fascista, quando culturalmente e amministrativamente era sempre stata in provincia di Caserta, la cui parlata infatti, la parlata di Pico, (ricorda Landolfi nel racconto I contrafforti di Frosinone, di Se non la realtà) è un bellissimo impasto di napoletano-abruzzese e non di quel romanesco suburbano che, un po' imposto un po' ruffianamente adottato dalla cittadina, Landolfi non poteva soffrire...  
Alla stessa maniera, credo, Landolfi avrebbe guardato con dolce languore il disfacimento delle sue sostanze, delle sue concretezze, delle sue proprietà, e non avrebbe di certo fatto nostalgia, rimprovero alla comunità (visto che era un solitario), come invece lascia trapelare il servizio infiocchettato dalla redazione della Repubblica. 
La domanda sorge spontanea: perché questi signori articolisti non desistono quando non sono all'altezza?
Perché così lavorano giornalisti e recensori, che sono costretti a improvvisarsi esperti conoscitori di qualcosa per il tempo di un articolo, o di un servizio, sono mascheratori d'ignoranze, quando è evidente che quel qualcosa non lo sanno perché nulla hanno investito né di tempo né di sé stessi per saperlo ma hanno l'autorità di in-formare, di dettare legge, non per effettiva conoscenza dei fatti ma perché, lo sappiamo, l'autorità discende, come divina, dallo scrivere sotto il tettuccio d'una testata, il Corriere, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale... 
Rumiz compreso.



Commenti

  1. La mia esperienza degli ultimi anni è che vivere è una cosa abbastanza noiosa, meglio scrivere. Però quando inconsapevolmente mi annoiavo a vivere, mi annoiavo anche a scrivere, per via che sapevo farlo poco. Lavorare? Giammai! (NON LAVORERO' MAI! gridò lo stesso Rimbaud prima di rimbecillire e andare in Africa a vendere armi al sanguinario Menelik).

    " Un tempo il giornalismo toglieva uomini alle lettere; oggi, il che è più grave, ne dà ". Achille Campanile

    RispondiElimina
  2. Secondo voi, se gridiamo in coro a 'sta ggente di smetterla di parlare di autori e di libri che, nella migliore delle ipotesi, hanno solo leggiucchiato, cost-oro la smett-ano?

    Secondo me, no. Ma ciò non toglie che è un dovere gridarglielo - comunque.

    fm

    RispondiElimina
  3. Francesco, posso farti un gossip?
    Pare che quelli di Pico Farnese non abbian ben digerito l'articolo (indeterminativo) di Rumiz, mica tanto perché è nnato là a magnà scpaghetti, più che altro perché si sono sentiti offesi che Rumiz dice che ha trovato il paesaggetto ostaggio d'un moto-rally e d'una porchettata in piazza, e che non accudischeno comme si debba la fondazione Landolfi!

    Landolfi una fondazione! Landolfi!

    ps: Io dico che possiamo urlare, ma cantando.

    ciao

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari del mese

Il cappio sciolto: come salvare in extremis il povero Pinocchio che cominciava a scalciare l'aria per farlo crepare come un cristiano comesideve

Le ragazze con il grilletto facile

Una risposta al signor M. che ci scrive da lontano per parlare di immagini elettorali, o forse con intenti morali assoluti