Le consultazioni di un ottuagenario (la nonna di Carletto e Berlusconi allo specchio)




Ognuno, mi pare chiaro, ha avuto la sua iniziazione al giuoco del poker. La nostra avvenne per via pratica e per via cinematografica, quindi artistica, a casa di Carletto. 
Lì, ci si incontrava per giocare il sabato sera, alle volte anche il mercoledì, secondo i turni di coppa che ben valevano una scusa per uscire senza noie. 
A casa sua guardammo e riguardammo il dittico del poker del grande Pupi Avati che studiammo per più di una stagione al fine di capirne e penetrarne ogni menomo dettaglio, dalla distribuzione delle carte al volto saponato dell'Avvocato calabrese, il baro impersonato dal grandissimo Carlo Delle Piane. 
Eravamo poco più che dei giovanotti squadernati e svogliosi di tutto o quasi, che facevano l'ultimo anno delle superiori (chi in prima, chi in seconda edizione). 
Carletto viveva di non molto fuori dal paese, sulla collina, in una villetta a due piani con tanto di una piscina piccina picciò (ma non di gomma, teneva a sottolineare lui, di cemento); Carletto, nonostante l'età ancora acerba e una fresca bocciatura, non desiderava fare altro nella vita che tirar di biliardo e giocare a poker. Non ho mai conosciuto un tale patito di questa - possiamo definirla - dimensione dell'anima, almeno a quell'età, come era Carletto a vent'anni.
Così, ci invitava a casa sua tutte le settimane oppure organizzava serate così, tra fumi e lumi, in altre case acconce alla nostra bisogna, vuoi alla (per allora) lontana Silvi o addirittura straniera e di dannunziani umori, Francavilla al mare. 
Le serate più divertenti, però, erano quelle a casa sua, sia perché i suoi genitori non c'erano mai fino a notte fonda per non dire fino all'alba ed erano in forte sospetto di vivere i propri sentimenti da "coppia aperta", sia perché a presidiare il fortino rimaneva la nonna del Carletto, una signora di oltre ottant'anni che camminava a scatti, parlava con un polmone in mano (l'altro glielo avevano asportato) e una incontenibile voglia di fumare qualsiasi cosa le cadesse a tiro.
Ora, alla nonna di Carletto, soprannomata dai famigli Tapiro per la somiglianza al compatto animale, non era concesso fumare. Profondamente ammalata e sempre in prossimità di enfisemi e bombole dell'ossigeno, le faceva male finanche vedere qualcuno con una sigaretta in mano... ma il Tapiro non demordeva. Sorvegliata attentamente sia sul lato finanziario che su quello giudiziario, e vivendo praticamente recluso in casa, non aveva molte maniere di raccattare tabacco. 
Pertanto, quando andavamo noi, la sera, a giocare, ognicheduno munito anche fino a un massimo di due pacchetti di Merit o Camel, il Tapiro trepidava, andando ancora più a scatti nei suoi andirivieni tra la cucina e la sala dove si giocavano le nostre bestemmiate partite. 
Capitava - e assai spesso - che durante una mano concitata dove la nostra concentrazione ricadeva solo sulle carte e le fiche (francese) rimaste e la sorveglianza del nipote s'abbassava, ecco che il Tapiro, quatto quatto, ci rubava qualche sigaretta. Noi lo vedevamo, e facevamo finta di nulla. Alcuni di noi, un po' come si fa durante la cena con un cagnolino sotto al tavolo a cui va la nostra simpatia, davano di straforo alcune sigarette alla sullodata signora che ne annaspava di gioia. 
Carletto, se vedeva qualcosa, piantava un casino con noi minacciando (naturalmente a vanvera) di non invitarci più e rimbeccava aspramente la nonna che a differenza nostra si rifaceva, una volta fuori al giardino, dando dei gran calci al di lui amato cane, il cane Bernardo. Il quale cane, sia detto per inciso, amato quanto volete da Carletto, una volta morto di vecchiaia, fu, a detta del Carletto stesso, infilato in un sacco nero della spazzatura e deposto, in attesa di giudizio netturbino, nel bidone dell'indifferenziata... sicché, quando ce lo raccontò con noi che facevamo tanto d'occhi, Carletto, per giustificarsi, disse "E dove lo mettevamo, nel giardino?" e uno tra noi gli rispose "Carlè, giardino no, ma almeno nell'organico!".... Quando poi anni dopo stirò le gambe pure la nonna, lo stesso amico salace, non avendo sentito di funerali o che, chiese se - animale per animale - anche il Tapiro avesse fatto la stessa fine di Bernardo.  

Ad ogni modo, e tornando a quelle serate, se per caso Carletto andava al bagno o, come lui stesso diceva, "era raggiunto da una telefonata" e si doveva allontanare dal tavolo o semplicemente si girava, ecco che il Tapiro tutta a scatti e strascichi di piede si fiondava ad approfittarne, malancando dalla cucina fino a noi e cominciava a dirci frasi irriguardose del tipo "Ma ce l'avete una casa... eh? la tenot' na cas? o siete cresciuti al porto come li fiji d' puttana? eh!... 'na sigaretta... la tenot' na sigaretta, eh? bravo bravo! a llù scem di nipoteme gni dicete nint però m'arcummann!".
Le davi una sigaretta, anche due, e lei trac tagliava la corda (delle volte pretendeva pure l'accendino o un più modesto fiammifero e se ne andava ad accarezzare Bernardo).

Ecco, ieri, seguendo con un occhio aperto e l'altro chiuso le consultazioni in tv, alle dichiarazioni dell'arzillo ottuagenario Silvio Berlusconi che approfittando della momentanea distrazione del "nipotino" Salvini e della "figlia" Meloni, si è messo a smerdare a braccio tutto quello che i suoi famigliari di cordata avevano concordato e detto prima, ecco, ieri, grazie a questo noto e antico arcitaliano della nostra politica, ho ripensato dopo tanto tanto tempo, sul filo della dimenticanza, al Tapiro e alle sue gentili parole, alle sigarette rubate e a quelle estorte per ospitalità, e le ho mandato un allegro saluto con il pensiero.
Non fosse stato per Berlusconi, forse, tra qualche tempo, del Tapiro e di quelle sere, non mi sarei ricordato più.

Finalmente, mi son detto, mentre prendevo sonno, il presidente Berlusconi ha fatto qualcosa anche per me!
Grazie!





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