Gatti neri
Ieri è stato un giorno molto povero di eventi ed emozioni.
Un giorno nullo, braso... come quasi tutti quelli della nostra bella
vita.
L'unico palpito, al mattino, indossare il maglione
giallo.
Dei giorni la cosa più piacevole è vedere dalla finestra il
paesaggio autunnale ripensando ai vecchi paesaggi autunnali che si è riusciti a
vedere e ricordare nella memoria.
Non sempre in questi casi è l'elemento nuovo a rendere più
interessante il paesaggio. In questi casi è l'immutabilità degli elementi a
colpirci - anche se uguali uguali gli elementi non possono (e non
devono) essere. Mai.
Non credo comunque che il paesaggio di ieri lo ricorderò per
il futuro, quando mi riaffaccerò.
Era tutta un'altra pittura rispetto al solito.
***
Stamattina, nel retro di casa mia, ho trovato un topo fatto
morto probabilmente dal gatto nero Leopold, una vecchia canaglia delle mie.
Questa morte oltraggiosa come tutte le morti violente mi ha
subito fatto tornare in mente il primo racconto di Landolfi, Mani.
Nel racconto, un giovane uomo per scacciare la noia aizza il
proprio cane contro un povero topo che dopo una lunga
lotta combattuta tra casa e giardino ne muore. Il giovane va a dormire ma,
sopraffatto dai rimorsi e dopo un sogno nel quale il topo gli dona il suo perdono,
scende dal letto, corre al giardino e lì celebra con grande dolcezza e
solennità un funerale per il povero animale ucciso, con la promessa -
effettivamente mantenuta - di diventare da allora in poi un benefattore dei
roditori.
Io invece, che nessuna colpa ho in questa morte ma che un
po' mi sento in colpa ugualmente, ho preso una pala, ho fatto la buca e ci ho
sotterrato questo topo tutto rotto e sconclusionato nelle sue parti. E' proprio per via del suo
corpo così ridotto che mi sento in colpa: mi sembra che esso con tutte le sue
corde strappate vibri una fortissima accusa a tutti noi... a tutto
l'universo.
Per l'intero giorno Leopold non si è fatto vedere, starà
pure lui espiando la sua pena, magari facendo l'amore dentro un fosso.
Mi ero fatto l'idea, tempo fa, che i gatti e i cani e i topi
si facessero la lotta (i topi la subissero) per motivazioni sociali: la
scarsezza delle risorse come motore di una lotta di classe.
Invece ci deve essere qualcosa di più alto (o meglio: basso,
animale) che li spinge l'uno contro l'altro a prescindere dai beni di consumo
che nella mia casa, per le loro categorie sociali, sono in misura assai assai
abbondante. Più abbondante dei bisogni di tutti loro messi assieme. Una lotta di natura, insomma.
Ché mica è facile intendere i gatti.
Ché mica è facile intendere i gatti.
***
Nel pomeriggio sono andato dall'orologiaio Massimo per
cambiare il cinturino al mio orologio da lavoro.
Ha il negozio in uno stambugio lungo il corso del paese
vecchio, vicino ad un violinista che suona poco perché soffre "di
dolori psicologici" al braccio.
E' un tipo serio, Massimo, di pochissime parole, quasi tutte
pesate come al bilancino della sua arte. Non si vede molto in giro, preferisce
farsi venire la compagnia lì nel suo negoziolo; c'è sempre qualche simpatico
nullafacente seduto, parlano prevalentemente di femmine (la parrucchiera Adele
li fa spasimare), calcio nostrano, politica fioca e persone che si rovinano con le proprie mani. Massimo è uno spettatore operoso. Gli altri delle volte si scamiciano
dalla rabbia. Una volta uno voleva convincere gli altri che lui era ancora in vita grazie alle sigarette, ché un giorno gli era girata la testa forte, ma forte, lui fortunatamente aveva una sigaretta a portata di mano... "Quando ho fatto a tempo appicciarla... Una tirata m'ha rimesso al mondo".
Non ci parliamo mai io e Massimo. Mi viene di non parlare,
non so perché. Eppure son loquace io, nei giorni buoni. Gli dico di che cosa ho
bisogno (il cambio della pila o del cinturino o di una lancetta inceppata) e
poi rimaniamo in uno strisciante silenzio, inframezzato da qualche ticchettio
lungo la stretta stanza.
Io ci impazzirei tutto il giorno chiuso lì dentro. Lui
invece deve averla presa dall'altro verso e i ticchettii lo rasserenano.
Oggi, con gli occhi che mi scoppiavano dalla lettura di uno splendido romanzo di un autore turco che ho conosciuto da poco, mi è proprio scappato di chiedergli se tante volte avesse letto L'istituto per la regolazione degli orologi.
Massimo mi ha guardato con gli occhiali sul naso, nemmeno
troppo sorpreso della mia domanda, forse un tanto infastidito della mia
spudoratezza (ché si chiede alla gente che libri hanno letto?, sembrano dire i suoi occhi... "ci conosciamo io e te?") e mi ha risposto testuali parole: "Di Tanpinar ho preferito Serenità ma
è bello anche L'istituto, certo... sono gusti. Il
cinturino è pronto".
"Ah, grazie", ho risposto, più per il consiglio di lettura che per il cinturino nuovo.
Ho pagato, salutato e sono uscito. Non che abbia fatto proprio un bel lavoro ma ero abbastanza contento lo stesso... ché mica è facile intendere gli orologiai.
Ho pagato, salutato e sono uscito. Non che abbia fatto proprio un bel lavoro ma ero abbastanza contento lo stesso... ché mica è facile intendere gli orologiai.
Ahmet Hamdi Tanpinar |