Qualche pezzo su tutto il niente
I cani mi sono simpatici, molto meno simpatici mi sono i padroni dei cani, però i cani lasciati all'abbandono mi fanno sentire una pessima coscienza. L'unica cosa di cui sono abbastanza convinto è che mi danno abbastanza noia quegli uomini che comprano i cani di grossa taglia per difendere le loro proprietà, magari attaccando fuori al cancello la targhetta rossa attenti al cane. Li trovo dei gran prepotenti. Céline, lo scrittore francese, gli ultimi anni, in quel paese sopra Parigi, dentro quello strano castelletto, aveva con sé una muta di cani parecchio incattiviti che erano il vanto di lui padrone e che gli servivano per scacciare giornalisti e persone importune dalla sua casa. Ebbene, Céline è il primo padrone di cani che usa i cani per difendere la sua proprietà che non mi sta antipatico, anzi la storia della muta dei cani contro l'informazione e la cultura mi piace tantissimo. Forse però è l'effetto della letteratura che rende le cose più belle.
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Era nato un gioco su quale elemento logico-grammaticale uno è. Ho scritto su un bigliettino il mio. Ho scritto complemento di stato in luogo, perché come fatto estetico lo stato in luogo, fermo, è un grande fatto estetico. Poi mentre anche gli altri scrivevano i loro talloncini, ho avuto la sensazione di avere esagerato, ché me la tiravo un po', dandomi le arie di un complemento tutto sommato amato, popolare... il complemento di stato in luogo... perciò ho chiesto di poter scrivere un altro talloncino e strappare quello già segnato, e su questo nuovo mi sono voluto rendere eterno, ho scritto io voglio essere apposizione semplice del complemento di stato in luogo (era bello anche il soggetto mancante).
Quando abbiamo aperto le bustine e abbiamo letto chi volevamo essere, quello che volevo essere io non è piaciuto a nessuno.
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Ma non è più serio uno scrittore che arriva, racconta una storia, bella brutta o divertente che sia, e se ne va?
Invece tanti giri.
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Gli ospedali sono di tanti tipi. Per me per esempio il sud Italia inizia all'ospedale di Pescara. Ma mi rendo conto di risultare oscuro, parlando di buie sensazioni, per altro inspiegabili.
In ospedale, oltre alle regole, anche in ospedale esiste l'eleganza, la malacreanza, c'è tutto (so certe storie). E c'è questa cosa di parlare con degli sconosciuti nella stessa camerata o di starci in una camerata che io l'ho sempre vista come una possibilità di vivere quel convitto o quel collegio che non ho mai vissuto.
Alcuni diventano amici e se non muoiono si vanno a trovare a casa dopo che sono usciti. Sono cose strane. Mi immagino il momento che uno sta a casa, così, seduto e di punto in bianco gli viene di andare a trovare un altro che ha conosciuto in ospedale... e alla fine ci va veramente.
Quando stetti all'ospedale, parlavo molto con delle persone ma loro poi anche se sapevano dove abitavo non mi sono mai venute a trovare (io nemmeno ma glielo avevo detto).
Forse si è sparsa la voce che ho un cane che non fa entrare le persone a casa. Non l'ho preso per quello ma ugualmente salta sopra la gente e mangia le maglie, per divertimento. Qualcuno dice che se non volevamo più visite potevamo dirlo (ma noi l'avevamo pure detto). Per altro, a differenza di Céline, non è l'informazione o la cultura che vengono a cercarci ma la vita comune. Ora la vera domanda è questa: che cosa possiamo fare contro la vita comune? e contro la vita straordinaria?
Penso niente, oltre che starsene fermi, piantati, come una semplice ombra del complemento di stato in luogo. E niente. Diventare letterariamente sempre più belli.