I vizi di Amalia

Vivendo in una palazzina condominiale come tanti, davanti ad un negozio di saponi, in una zona tuttosommato tranquilla del paese, Amalia ha sempre avuto la sensazione di possedere una invidiabile felicità di base. 
Ma gli esseri umani sono strani e pur nella contentezza di avere tutto l'indispensabile per vivere, Amalia maturò due vizi che divennero incipienti con il passare degli anni: il diabete e l'alcolismo. I peccati di gola non erano in realtà in cima alla lista dei suoi spasimi di desiderio. Non era che mangiasse troppo dolce. Era sempre quella bestia del bere che gli aveva fatto prendere il diabete. Amalia era amante forte di bevande liquorose che si sa hanno un notevole apporto di zuccheri. 

Si accorse del diabete grazie ai morsi del prurito che iniziarono a tempestarle le membra. Non c'è un cazzo da ridere a girare e grattarsi e farsi in continuazione bidet alle parti intime. Amalia, bisogna dirlo, ebbe una tempestiva diagnosi dei suoi scompensi della glicemia grazie alla conoscenza di un medico non più giovane che andava spesso in casa sua che vedendola martoriarsi di pizzicate la pelle le chiese di farsi le analisi e la accompagnò quasi di forza ecc. 
Molto probabilmente il suo diabete era dovuto alla sambuca molinari di cui era schiava
Così facendo, secondo molti, la donna rischiava ad ogni trincata pesante di cadere o in coma diabetico o in quello etilico o entrambi insieme e stramazzare a gallina senza più. Ma può essere, le diceva il marito quando la vedeva ciucca aggirarsi cedevole come una marionetta per la cucina, che ci devi sempre far ricordare i giorni ricordativi? Perché era pur vero che nelle feste patronali il suo spirito si librava indisturbato nei cieli del vizio... onde poi ricaderne a corpo morto, e mortale più che mai, avvizzita e stracciata nelle carni di vecchia. Povera donna. Schiava sei, gli diceva il povero compagno, delle tue baldorie. Sei una gran balorda. Eppunto.

In un paese, piccolo o grande che sia, l'alcolismo non esiste mai, nonostante ogni paese sia zeppo di coloro che chiameremmo in altri fondi di mondo alcolizzati. Prima di tutto non esiste come parola, alcolizzato, perché pochi la conoscono e perché non si avverte nel bere tutte quelle qualità cancerogene per l'anima e il corpo che la parola alcolizzato o alcolista porta seco. In secondo luogo quasi tutti bevono più del necessario e quindi nessuno si sputa in faccia da solo a chiamarsi alcolizzato. Tutt'al più di uno che fuma molto si dice "vizioso", ma è come dire un vizio veniale, una bischerata da niente, un vento leggero che soffia sulle guance. 
Chi beve tanto è pensato dalla comunità e si pensa da solo come uno allegro, carnascialesco. E' una cosa non negativa alla fine alla fine. 

Di Amalia col vizio d'alzare il gomito lo sapevano tutti... lo diceva ella stessa se qualcuno la sorprendeva a casa in una visita improvvisa, "Sto unta, scusatemi tanto". Evvabene, che fai, non scusi?

Ma la cosa più bella di Amalia, a mio modestissimo parere, oltre alla passione per il vino e la sambuca, era la sua condotta nei centri commerciali. La domenica lei e il marito si allontanavano in macchina verso i punti nevralgici della provincia, cioè gli ingrossi, i centri commerciali, quegli stabilimenti piatti e sdraiati sulla vecchia campagna che sembrano delle formine per la sabbia dei bambini, pieni di roba da comprare e luci colorate. In questi luoghi, o non-luoghi, che dir si voglia, Amalia cacciava fuori il meglio da sé stessa. Peccato che la storia dello spettacolo non arrivi tanto in profondità... che sia così superficiale.

Il meglio di sé di Amalia era che malgrado le finanze sue assommate a quelle del marito facessero un reddito dignitoso e tranquillante, Amalia stranamente nei lunghi corridoi di questi supermercati si era presa un altro vizio rispetto al diabete dove abbiamo visto era scarsa e l'alcolismo dove invece andava forte: il vizio nuovo, ma che credo avesse da quando avevano preso piede i centri commerciali, era sbucciare di nascosto barrette di cioccolata, merendine imbustate, cornetti inscatolati, pacchetti di caramelle, confetti, snack e schifezze varie (le ciacciarie di dice da noi) e li mangiava con voluttà sul posto come nulla fosse, senza pagarle ovviamente, lasciandosi cadere al passaggio il tetrapak e i pezzi di cartaccia e cellofan che li rivestivano, con questi se ne andavano in stracci anche i codici a barre e tutto ciò che potesse far suonare gli allarmi elettrici... "me li so' magnat, scì... me li so magnat... e mbè... che m' vò sunà li caramell dentr la panz... che vò sunà stu cazz?!" diceva se il marito tornava all'improvviso dal reparto ferramente e la sorprendeva colla bocca piena di cioccolati al caramello... 
"Hai il diabbbete, vecchia matta!"
"Ma che io non ting nint..." diceva colla bocca incollata di caramelle gommose...


E alla fine le è venuta una malattia al fegato.       

Commenti

  1. Questo racconto è molto bello, una vera crocetta al fegato ma bello. Eppure, come puoi vedere, non c'è lo straccio di un commento, e sai perché? Perché manchi di un'adeguata strategia bloggica, di una pianificazione dei titoli adeguata ad attizzare l'estro lettorio dei lettori. Se credi nella tua scrittura, quindi, devi attrezzarti, devi saper attizzare, attrarre, lusingare, costringere anche col dolo ad andare fino all'ultima sillaba dell'ultima riga. Prova questa soluzione, tanto non ci perdi niente, solo il tempo infinitesimo di sostituire una consonante nel titolo: da "I vizi di Amalia" a "I vizi di Analia". Vedrai che, nel giro di qualche ora, i clic sul post saranno decuplicati, e decuplicati anche i tempi di permanenza nello stesso: a significare che lo spirito lettorio dei lettori scruta parola per parola, virgola per virgola, in attesa che Analia mostri il suo punto dolente. Devi farti furbo Dinamo, se vuoi diventare fanoso, e pensare di dare una ritoccatina anche al tuo nome, che so, Dinano Seligneri o Dinamo Selignani sarebbero già più in linea con i tempi e gli intenti. Che ne dici?

    Andrea Sarti

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  2. Andrea, ti ringrazio dei consigli buco-wskiano/brassiani, però io non voglio diventare famoso. Voglio solo non dover lavorare.
    Valgono gli stessi consigli?


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  3. Si cerca di diventare fanosi anche per non dover più lavorare, quindi i consigli vanno bene comunque, cambia la prospettiva ma il fine è sempre quello.

    Andrea Sarti

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    1. E' un bel problema sai. A me la volgarità mi attira poco. Vabbè, resto a disposizione per altri consigli.
      Ciao

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  4. E' un bel racconto, secondo me però tagli un po' troppo via con la frase finale. Nel senso che perde il ritmo. L'ultima frase manca di musicalità. Come un disco che si interrompe sul più bello.

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  5. Non sta bene che mi metto a difendere le mie scelte narrative, però visto che siamo su un blog ti dico che scrivendo m'è venuto di fare un finale spezza fiato, ed è per questo che ho fatto il brusco dove magari era più consigliabile continuare ad annacquare il quadretto conclusivo con alcuni più moderati accorgimenti.

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    1. Ma quello che ti contesto (sempre simpaticamente ed amichevolmente, ovvio) non è tanto l'aver fatto il brusco, il finale spezza fiato, ma la costruzione della frase in sé che manca un po' di musicalità. Prova a rileggerti ad alta voce.
      E questo a voler essere pignoli comunque, eh, il racconto rimane bello lo stesso.

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    2. Sarà per la mia inflessione, però a me fila abbastanza bene quella frase... Vabbè, tanto, so' racconti che scrivo con una strana fregola, quando mi viene il ghiribizzo... puoi tranquillamente rimostrare ci mancherebbe Biancaneve, anzi mi fa piacere sentire quel che ne pensi.

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