Non è un paese per thrilleristi




Ero davanti a Germania-Brasile (più alla Germania che al Brasile, a dire la verità), la famosa semifinale dei mondiali del 2014, finita 7 a 1 per la Germania, e pensavo che se davanti al piccolo Brasile al posto della grande Germania ci fosse stata una grande Italia (mettiamo forte come la grande Germania), la grande Italia non se la sarebbe mai fidata di fargliene sette. Avrebbero fatto uno, massimo due gol, e poi si sarebbero rintanati tutti davanti al portiere (alcuni, i più tecnici, affianco). Non è una questione di qualità calcistica, pensavo, è una questione di carattere nazionale, di cultura. Che fa mò gli facciamo sette gol, al Brasile, in Brasile, in semifinale, avrebbero pensato questi grandi italiani... pare brutto. La familistica Italia si sarebbe fermata prima, forse l'avrebbe pure persa, la partita, pur di non farci rimanere male il Brasile e le brave famiglie brasiliane.... o forse, pelle pelle, sta partita l'avrebbero pure persa, magari per paura che i brasiliani malamente se la prendessero colle loro di famiglie... che ne sai? Quelli sò sudamericani, sò calienti, sto mondiale dai e dai, tra cazzi e mazzi, l'hanno pure organizzato, non è che quando usciamo ce le suonano?... si sarebbero ricordati che in molti campi, nell'europeissima Italia, specie delle serie minori (ma non solo), le squadre ospiti se si comportano come non si devono comportare (cioè se vincono legittimamente in trasferta un playoff o una partita decisiva) è facile che le buscano, che vengano minacciate, durante la partita, fuori e dentro il campo. E che non sia agevolissimo uscirne. 
Ma un mondiale... dovrebbe essere un'altra cosa. E infatti il Brasile e i brasiliani hanno dato da questo punto di vista una grande lezione di civiltà.

Parallelamente alla partita, leggevo un romanzo, in quei giorni. Un romanzo famosissimo e crudele, molto commerciale a dire la verità - c'hanno cacciato fuori pure un film - che parla come spesso in questo autore di violenza, un'americanata per certi versi, ma scritta da un narratore bravo che dicono pure coraggioso (sicuramente non a livello sperimentale-letterario però). Leggevo insomma Non è un paese per vecchi del vecchio Cormac McCarthy che a prescindere da tutto, come personaggio (qualche volte, pure come scrittore) mi sta simpatico, non foss'altro per la ritrosia e la distanza (spero non solo apparente) nei confronti degli ambienti culturali e giornalistici. Il film non l'ho ancora visto ma non importa. La cosa che mi importava è che il libro, fedele a un certo movimentismo hollywoodiano vecchio stile, è una carneficina continua. Le persone cascano ammazzati come le mosche senza alcuna remissione di peccati, sembra di stare dentro un tritacarne (non come in Meridiano di sangue, sempre di McCarthy, anche se lo score di mort'ammazzati procapite per personaggio è altissimo lo stesso: una decina a capitolo - alcuni pure di più). Ora, lo so bene che questa è una abusata e sciocca critica che si fa da anni alle scritture che vengono dalle Americhe e infatti a me non mi interessa più di tanto il fatto sanguinario in sé e per sé, ciò che mi interessava era il suo valore relativo... ché i gialli o i noir italiani che ho letto io - ne ho letti abbastanza, specie nei classici... e pure McCarthy lo è, un classico - mica ci stanno tutti sti morti... Sì, Scerbanenco ce ne mette qualcuno in più, rispetto al fuoriclassifica Sciascia per esempio (che ne mette proprio pochi, diciamo l'indispensabile), o all'ancora più fuoriclassifica Gadda che era notoriamente un pauroso che per due morti ci monta su un pasticciaccio ecc ecc, o a Macchiavelli, o a Lucarelli e altri, però tutto sommato anche qui, come per Germania Brasile 7 a 1, a me sembra che gli autori italiani, rispetto a quelli stranieri, mantengono un carattere, italiano, diciamo, flemmatico, che dice vabbè, ammazzatene qualcuno ma datevi una regolata, siete comunque in Italia e in Italia tutte sti delitti non succedono eppoi se ammazzi dieci persone ogni tre pagine, quante gente scontenti? ché quelle dieci persone avranno (a dire poco) dieci parenti stretti tra fratelli cugini nipoti e via discorrendo, e se là mezzo a questi ci fosse un addoloratissimo e potente critico letterario? o un direttore editoriale? Che ne sapete voi, quando ammazzate così copiosamente, chi famiglia andate a toccare?... 
D'altronde poi questa morigeratezza delittuosa, questo precetto cattolico-religioso a uccidere con moderazione, potrebbe sempre derivare da motivazioni più nobili di quelle succitate, potrebbero insomma rispondere a una questione di tenuta etico-estetica, di misura, di senso rinascimentale delle proporzioni e in qualche caso lo è sicuramente. Fatto sta che a dispetto di tutto, però, in Italia, si concede al "realistico" o meglio alla verosimiglianza molto di più di quanto si creda ed oggi con questa moda dell'autofiction all'italiana (dove mi sembra che di letterario c'è sempre meno, con un impossessarsi della scena abbastanza becero e sterile del piatto diarismo - o di una piatta fiction diaristica - a tutto detrimento della fantasia creativa e della letteratura) la misura è stata abbondantemente colmata e straripata...   
La trama del Non è un paese per vecchi è tutto fuorché credibile, invece. Il protagonista del romanzo di McCarthy, l'operaio Moss che durante una fortunata battuta di caccia incappa per caso in un tesoro di due milioni di dollari temporaneamente sfuggito di mano ai cartelli della droga e si mette a scappare per tenersi tutto il bottino, con alle calcagna una quantità industriale di bande, tirapiedi ed eroi del male, in un'impresa folle e senza vie d'uscita, mi sembra quanto di più romanzesco possa esserci, e non basta all'autore presentarcelo come un reduce del Vietnam per accreditarlo ai nostri occhi come credibile uomo d'azione capace di fronteggiare tutte le avversità... per "un pugno" di dollari. Ora, al di là delle gratuità di certe scelte, delle leggerezze di una letteratura del genere o delle enormità narrative, preferisco questo a tanta soporifera narrativa italiana, dallo stregato Piccolo a Scurati, fino ad arrivare al penultimo e all'ultimo stanchissimo romanzo di Walter Siti che pure con Troppi paradisi aveva firmato un capolavoro che rimarrà.  
Io ho pensato che una storia così come quella di McCarthy, in Italia, che uno trova degli autocarri in mezzo mettiamo al gran Canyon dell'Aquila con tanti messicani (facciamo rumeni... tanto so' stranieri no?) morti ammazzati, e poi trova una carrettata di lingotti d'eroina nel cassone e soprattutto due milioni di euro in una ventiquattrore di fianco a uno morto sparato sotto a 'na pianta d'ulivo, secondo me un italiano standard - permettetemi qualche secondo di cabaret - si cacherebbe addosso, lascerebbe tutto dov'è, si fregherebbe qualche mazzetta, racconterebbe tutto alla moglie, piagnucolando, poi piano piano vedendo che non succede niente, che nessuno lo sta cercando, comincerebbe a comprarsi qualcosa, in nero, o coll'aiuto di qualche bancario, e si inventerebbe che ha vinto al lotto o alla schedina (magari giocando la vittoria per uno a zero dell'Italia sul Brasile in semifinale), e il romanzo dell'ipotetico narratore splattere italiano, per giunta nient'affatto scritto con l'intelligenza di Sciascia o il genio linguistico di Gadda, diventerebbe una specie di commediola all'italiana, e a quel punto tantovaleva non scriverlo per niente sto splattere che non è affatto uno splattere... e quindi poi ci lamentiamo che i libri non si vendono, che le librerie sono vuote, che gli scrittori chiudono... ma scusate, a chi cazzo verrebbe di comprarsi un romanzo (o addirittura cavarci un film) su uno della provincia dell'Aquila che invece di farsi inseguire e insanguinare dai narcotrafficanti si barrica in casa e gioca al grattaevinci dalla mattina alla sera? Un po' di senso pratico, ogni tanto, no?






Commenti

  1. Interessante riflessione la tua, questa sulla morigeratezza dei morti ammazzati nella narrativa italiana. Non abbiamo il coraggio di osare nella drammaturgia, siamo minimalisti, o buonisti, forse soltanto perbenisti.

    Il film a me è piaciuto molto, con uno straordinario Javier Bardem.

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  2. A livello formale, qualche coraggioso c'è (il giusto diciamo e chi se lo può permettere). A livello contenutistico invece no, tanto che uno come Houellebecq (non per come scrive ché scrive come uno che va alle medie, ma per quello che scrive) noi ce lo sogniamo.
    Questo dipende da diversi fattori penso della nostra cultura, dal perbenismo al corporativismo di scrittori, editori ecc. Sotto il paradosso dei mortiammazzati era di questo che volevo parlare.

    Il film non l'ho visto, solo qualche scena qua e là. Sembrava ben fatto.

    Un caro saluto Rita

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    1. Infatti, avevo capito benissimo dove volevi andare a parare e ti do pienamente ragione.
      Vero che qualche arditezza c'è solo a livello formale, che per lo più poi, non essendo capace di veicolare un contenuto altrettanto ardito, rimane solo vuoto artificio retorico.
      Un caro saluto a te. :-)

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    2. Comunque, ti dirò, preferisco uno che scrive come se andasse ancora alle medie, ma che dica qualcosa di interessante che non viceversa; per questo odio Baricco, che è l'esatto contrario, il vuoto incartato da una scrittura pretenziosa ahhaahhaahhaha ;-)

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  3. E' un punto cruciale quello che dici. E alla fine sono d'accordo con te: meglio le medie cazzute che l'università all'acqua di rose.... ma ci sono casi in cui la scelta è davvero difficile.

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